23.9.03

Standby Me

Born To Kill

Una provocazione. Prendo degli scopiazzatori di trentacinque anni fa, sì, ancora il Sessant8, e ve li osanno come se non potessimo fare a meno di loro. Di più. Prendo il Bosstown Sound, una scena farlocca inventata da una molto grande major, spernacchiata senza pietà dalla critica del tempo e miseramente fallita rispetto alle previsioni. Il flop storico voleva creare una scena psichedelica alternativa a quella californiana e io vi avrei raccontato di giovani cresciuti nella east coast che realizzavano il sogno di aprire un concerto dei Jefferson Airplane e di vestirsi con abiti meno soffocanti. Poi, vuoi mettere, avrei parlato di un gruppo che si chiamava Ultimate Spinach, indispensabili e ridicoli fin dal nome.
Il disco scelto per l’operazione in questione sarebbe stato Behold & See e li copiava proprio tutti, gli Airplane, i Quicksilver Messenger Service, i Doors senza lo sciamano e continuate la lista voi. Però, però. Però il disco a me piace. Suona fico. Dicevano all’epoca che i suoi testi erano ridicoli e sembravano parodie involontarie, ma quale disco psichedelico dell’epoca oggi non ha testi su cui sghignazzare? E tranne qualche sbrodolata, mi sembra pure più contenuto di certi suoi parenti, la chitarra non è sempre il suo centro e rischia pure una ritmica jazz in Jazz Thing. Oh, ma non starò mica osannandovelo?

Oggi

Spero di non dimenticare niente.

La canzone del giorno

The One Who Has Disappeared - The Black Heart Procession

22.9.03

Dimenticanze

Quando gli Orbital suonavano dal vivo Halcyon + On + On ad un certo punto interrompevano la canzone e suonavano You Give Love A Bad Name dei Bon Jovi, gli piazzavano sopra Heaven Is A Place On Earth di Belinda Carlisle e poi ritornavano al loro pezzo. Nei festival funzionava una meraviglia. Halcyon + On + On conteneva un campionamento di It’s a fine day degli Opus 3 e si favoleggiava che fosse presente pure un campionamento degli Yes non accreditato. Halcyon + On + On era la canzone che si sentiva alla fine del film di Mortal Kombat.

C’è solo la Laura

Ma quando la versione estesa di questo anche sul blog?

Come Musica di Repubblica, ma mensile

Nasce l’Observer Music Monthly e la sua prima esclusiva è la recensione dell’unica copia promozionale di Room On Fire degli Strokes arrivata in Inghilterra. Saranno tirchi e malfidati ‘sti ‘merigani?

Oggi

Campionati.

La canzone del giorno

Radio #1 (Rumbamambochachacha Senior Coconut’s Remix) - Air

21.9.03

[Il comitato di redazione di FFWD ha cassato il titolo, reo di contenere al suo interno un gioco di parole sulla parola domenica]

Si è già detto che non avrebbero deciso la musica in onda, peccato, ma almeno la scelta della sigla pare opera loro. Ogni Maledetta Domenica, il nuovo programma della domenica mattina di Radiodue condotto da Luca Sofri e da Maichel Boroni, comincia infatti con la screamadelica Loaded, che ha l’effetto di un buon caffè e a quest’ora non si chiede di meglio. Durante il blocco di presentazione Maichel (ma avrà incontrato Luzzato Fegiz nei corridoi?) emerge timidamente dall’introduzione di Luca Sofri, ma già dopo la prima canzone si mostra perfettamente a suo agio davanti al microfono, godendo poi anche di una voce parecchio radiofonica. La prima canzone. Detto che non è colpa dei conduttori, non mi ero mai accorto di quanto quella canzone dei Cranberries avesse l’attacco simile a Strange World di Ke. MB ed LS per conto loro, più LS a dire il vero, non si fanno problemi nel parlare male per esempio di Lene Marlin e invece di presentare il pezzo in arrivo rimandano l’ascoltatore alla fine della lagna alla maniera che già fu della Gialappa’s altrove e in altri tempi.
Come anticipato anche da Emmebi e da Luca Sofri nel blocco introduttivo, il programma ha il taglio e la struttura dei blog, che poi sono il taglio e la struttura della rete: idee e notizie di costume, arte e spettacolo ricircolano svicolando in continuazione, filtrate dalla forma citazionista, dall’approccio personale e da un pizzico di ironia e fuffa. Potete leggerci dentro la realtà che vi circonda o al limite divertirvi saltando da una finestra all’altra. Spesso scatta l’effetto di riconoscimento che nel mio caso ha riguardato il fallimento del Dect (ho sostenuto due volte un esame per colpa sua) e i colloqui con le domande sul filo dell’assurdo (per la cronaca hanno ripescato la ragazza di Cefalù). Si intravedono già i primi tormentoni, l’uso rovesciato dei luoghi comuni del mezzo, accettabile esclusivamente per la prima puntata altrimenti scatta l’effetto Fabiofazio, e alcuni casi di pubblicità occulta (Kimbo, i telefonini lussuosi, non usate Microsoft). Buono il ritmo dei duetti anche se qualcosa sembra preparata e chiederei più rispetto per i dolori del giovane Williams. Mi è sembrata invece un po’ fuori contesto la chiusura sulla Guardia Nazionale, salvata dalla citazione di Rambo.
Ogni Maledetta Domenica ha ospitato anche gli interventi telefonici di Vera Montanari, direttore di Marie Claire, Giovanni De Mauro, direttore dell’Internazionale, e di Guia Soncini, CTdR del programma che si è lamentata per l’orario (lamentela condivisibile) e per il tono semiserio del collegamento: per un attimo ho avuto l’impressione che la Soncini avesse preteso per contratto che Emmebì non intervenisse, ma verso la fine della telefonata mi sono ricreduto. Piuttosto ho alcuni dubbi: sul fallimento del Dect i due conduttori sbadigliavano, c’erano dei cali di tensione elettrica o il nastro aveva problemi? Di chi era la chitarra tamarra della terzultima canzone? Maichel Bolton?

Dei Radiohead non si sa niente

Nella presentazione di questo esperimento si sostiene che a causa delle alluvioni mediatiche che hanno circondato le ultime nuove uscite dei Radiohead, non è più possibile non tanto un ascolto vergine della loro recente produzione, quanto un ascolto che prescinda dall’opinione critica dominante. L’East Bay Express ha sottoposto allora Hail To The Thief e altri pezzi sparsi della discografia ad una classe di bambini di dieci anni e ha chiesto loro di esprimere in immagini quello che la musica suggeriva loro. Si potrebbe pensare che l’esperimento abbia in mente una tesi, un risultato negativo per il gruppo, ma ai bambini non è stato chiesto se gradissero le canzoni e dopo tutto alcuni disegni non sfigurerebbero nei libretti dei cd. Alla fine i ragazzini sono tornati a Sean Paul e 50 Cent, ma questo è un altro discorso.

Second toughest in the infants

Il Guardian parte dall’attesa per il nuovo disco degli Strokes, Room On Fire, e arriva alla DSAS. A differenza del passato, in cui la consacrazione si raggiungeva anche al nono passo, oggi chi fa centro al primo colpo non deve sbagliare il secondo. Per completezza di informazione, io sono un primogenito.

Oggi

Puff’n’ga.

La canzone del giorno

Music For Babies - Howie B

19.9.03

Non scavate quella fossa IV

Sapete che non vado matto per i ragazzini rockeggianti e riscopritori the-gli ultimi tempi, fenomeno utile e talvolta esageratamente pompato. Faccio un’eccezione perversa per gli Interpol (ma don’t try this at home), per gli Yeah Yeah Yeahs che mi divertono e per alcune canzoni degli Stripes, che però per il loro bene non dovrebbero essere trattati come vengono trattati: sono bravini ma non hanno ancora infranto nessuna legge della fisica. Poi mi si montano la testa e diventano la versione triste di una student band che suona i Can. Il resto mi passa accanto, provocando un misto d’indifferenza e antipatia.
I Pretty Girls Make Graves arrivano allora nel momento sbagliato (sì vabbé giusto), anche se quel nome mi incuriosisce perché non ha troppe H allitteranti e perché non ricorda quella band mariachi romagnola chiamata Los Raviolones. Quando scegli un nome hai in mente le reazioni che questo nome avrà e allora cado nel tranello e ascolto The New Romance, che nella prima traccia paga il fio alla lobby batt’i’mman’ente (allo stesso modo dei The Raptures nella pentolina bollente House Of Jealous Lovers o dell’inizio del disco nuovo dei The Shins). Mi devo decidere. Perché questo disco o lo prendo come un divertente disco per i miei balletti in cameretta, senza che si tocchino vertici di sopravvalutazione eccessivi come in maniera giudiziosa ho fatto con la band di Karen O e soprattutto senza comprarlo, o altrimenti non resta che sottoscrivere la teoria degli zombie, la più corretta nei confronti del passato e della mia posizione etica. Passerà anche questa, ma fatemi ballare un po’ The Teeth Collector.

Whole Lotta Love, coglione!

Pausa pubblicitaria. Solito zapping frenetico e attendista tra le reti musicali. Sullo schermo Elio e Le Storie Tese suonano la coda di un pezzo molto tirato ricamando sopra con chitarra cesarea il riff della sigla di Top Of The Pops. Alla fine Elio esclama “Volevamo solo rovinarla” e sul palco sale Freak Antoni con un cartello enorme: fate cagare. Freak Antoni, noto negli ambienti snob di provincia come l’artista il cui nome faceva rima con Brigantony, chiede se se la sono presa, Elio abbozza e Freak sicuro risponde che tanto è la verità. Mi rendo conto che Elio rovinava una canzone degli Skiantos, verosimilmente Eptadone. Il palco è quello della Festa dell’Unità di Bologna e lo scontro-riappacificazione è officiato da Patrizio Roversi, per l’eccezione non di bianco Dash vestito e circondato dall’afrore di salsiccia arrostita. Il cantante degli Skiantos con un vistoso pallone da calcio nascosto sotto la maglietta si becca dal pubblico l’accusa di essere vecchio e lui replica chiedendosi cosa c’è di male nella vecchiaia. Si gigioneggia per un po’, col dubbio di essere cascati nel trappolone qualche mese fa ai tempi dello scontro di Musica. Gli Elii abbandonano il palco e gli Skiantos suonano una versione blues di Mio Cuggino in cui il cuggino non perde l’occasione di ricordare che Elio E Le Storie Tese fanno cagare. Poi ho dovuto cambiare canale. Qua a Palermo la Festa dell’Unità si tiene al Giardino Inglese ma il programma musicale è sempre stato piuttosto imbarazzante. L’ultima volta che ho visto un concerto lì, suonava Max Gazzè. Cantò pure O Caroline.

C.S.I. (Crime Scene Investigation, che avevate capito?)

L’altro giorno Daniela Amenta ha messo in fila alcune prove schiaccianti della morte della critica musicale italiana a cui è seguita una lunga serie di commenti. Tema complesso e sempre più legato all’andazzo dell’industria discografica e alla crisi di vendite della stampa specializzata. Noi che siamo cialtroni (non è maiestatis, metto dentro anche voi che leggete e rimanete qui nonostante a volte spari di quelle ehm) prendiamo la situazione in maniera isterica come quelli che ridono davanti ad una tragedia e allora recupero per l’occasione due sempreverdi sul tema, l’how-to di Lester Bangs e il come fingere di essere un esperto di indie rock.

Ridarola

Quando leggo il nome dei Fra Lippo Lippi l’effetto è più o meno quello.

Imbucati

Non ci sono più le mezze stagioni, quindi siamo vicini a Natale e a Natale siamo tutti più buoni, anche se con l’euro tutto costa il doppio. Per farla breve sullo stesso album natalizio troverete, insieme ad Avril Lavigne e a quei lazzaroni dei Sixpence None The Richer, Damien Rice, Badly Drawn Boy, i Flaming Lips e Rufus Wainwright. A parte che ieri notte ho trovato i Flaming Lips nel mio cesso che provavano l’effetto della mia vasca da bagno sul suono delle loro chitarre vestiti da cavallucci marini, ma non viene in mente a questi maledetti discografici manipolatori di giovani menti traviate dagli effluvi del pongo che un fan duro e puro come me, che nel mio blog non ho mai nominato Avril Lavigne e quei lazzaroni dei Sixpence None The Richer, potrebbe risentirsi? Rassicuro Inkiostro: manca Nick Cave. Per questa volta.

Oggi

Sulla (s)fiducia.

La canzone del giorno

Insensatez - Antonio Carlos Jobim [Live at Webster Hall 02-09-1963] / Robert Wyatt

17.9.03

La mia bisnonna gestiva un casello ferroviario (Non puoi parlare in camera e pretendere di essere preso sul serio, a meno che tu non ti chiami Mike Myers)

The Silver Mt. Zion Orchestra & Tra-La-La Band With Choir sono quelli che si allungano il nome a ogni disco, il sestetto di “scazzato rock da camera” fondato da alcuni dei Godspeed You! Black Emperor. I secondi sono quelli più politici e romantici, mentre l’Orchestra ha avuto sempre un approccio più mistico e spirituale verso le brutture del mondo. Il loro nuovo disco si chiama “This Is Our Punk Rock,” Thee Rusted Satellites Gather + Sing, e tutti i pezzi sono cantati. Punteggiatura, riferimento al punk, Efrim che canta: dove ho visto già questa cosa? Il packaging è spettacoloso come sono soliti in casa Constellation. A differenza dei precedenti due dischi, che non nomino perché hanno titoli lunghissimi anche loro, si passa dai pezzi di medio respiro alle classiche tracce oversize dei cugini GY!BE, quattro per la durata totale di circa un’ora, coi pregi e i difetti che ne conseguono e con la differenza che qui le esplosioni non sono un obbligo. Oltre alla voce di Efrim Menuck, simile a quella di un Pall Jenkins stonato e infreddolito, un coro riunito per l’occasione percorre il disco con durezza e scostanza monacale, anche se a tratti questi monaci sembrano ubriachi di aceto.
“This is our punk rock… è un disco che parla di nascita e distruzione di comunità. Sfugge la fredda graficità di Yanqui U.X.O. nonostante proceda per immagini e parole. Goodbye Desolate Railyard per esempio commemora la dismissione di una vecchia ferrovia, topos caro anche alla discografia Godspeed, e nel farlo violino e chitarra acustica mimano il cigolio ritmico delle ruote sui binari fino a quando il macchinista frena, le ruote sfrigolano di rosso e lui le innaffia di acqua perché il treno non riesce a fermarsi in tempo per la fine dei binari. Poi passa un treno per davvero, è sempre bello il treno e il disco si chiude con semplicità e con quello che mancava proprio a Yanqui U.X.O.: tutti si sentono un po’ persi a volte. Come il motore americano sul campo bruciacchiato del terzo pezzo, forse il più GY!Bboso degli episodi in cui il lento e iterante lamento iniziale si gonfia attraverso il basso e il crescendo di violino fino ad una fuga arpeggiata: niente di nuovo, ma quando la corsa finisce il passaggio dagli archi troppo pomposi alla chitarra su infinite note più basse toglie il fiato prima del coro finale. Questo recinto attorno al tuo giardino non imperdirà al ghiaccio di cadere. Prima Babylon Was Built On Fire / StarsNoStars comincia bene con le sue increspature di chitarra, ma la voce di Efrim è troppo piagnucolosa e rotta e quattordici minuti sono lunghi. È invece la prima traccia, Sow Some Lonesome Corner So Many Flowers Bloom, la più bella e interessante del disco. Inizia con un’insegnante di danza che conta i passi mentre la sua alunna non la segue in maniera corretta ed è costretta per questo a ripetere. Un giro elementare di chitarra introduce i monaci ubriachi che a un certo punto cantano i monosillabi fa, sol, la. Poi cumuli stratificati di effetti e chitarra portano verso il nono minuto e da lì non riesco a descrivervi quello che succede perché è fotosintesi clorofilliana al lavoro nella mia stanza da letto, pigmenti che decidono colori al buio, io che respiro anidride carbonica, il mio sonno che viene disturbato, io che mi giro e rigiro e sto correndo e poi salto e mi frammento in mille pezzi piccolissimi e poi bevo un bicchiere d’acqua quando mi sveglio per calmarmi.
All’altezza dei precedenti dischi dell’Orchestra anche se a tratti li supera (ma questo significa che in certi momenti è anche inferiore), “This is our punk rock… da un lato tenta nuove strade, dall’altro si avvicina alle strutture dei cugini pur mantenendo una maggior complessità tecnica e sonora. Superiore a Yanqui U.X.O., rimane un disco più che discreto con dei grandi sprazzi. Adesso però sono curioso di sentire cos’hanno combinato gli Esmerine, Beckie Foon e Bruce Cawdron ancora dai GY!BE e dall’Orchestra, in If Only A Sweet Surrender To The Nights To Come Be True.

Il seme della follia

Forse è arrivato il momento di abbandonare la scena del pop bastardo? Intanto arriva Caro Berlusconi 2.0 (Dove Vai In Vacanza Mix) - The Roots feat. Cristiano MalgioglIO.

Imperdibile

Una raccolta di quarantacinque versioni di Summertime. Da Fausto Papetti agli Zombies, da Vanessa Mae a Miles Davis, da Kenny G a Janis Joplin.

Segmentiamo nu’ poco il pubblico

In tema di metallari vs indie rocker, recupero dal sito di una delle mailing list sui Belle & Sebastian una gustosa parodia intitolata Indie Boi.

(Spazio gentilmente offerto da Venus, il magazine per la indie girl di tendenza: in copertina in questo numero la donna barbuta è sempre piaciuta.)

Oggi

Deragliando.

La canzone del giorno

Jack-Ass - Beck

16.9.03

La nuova Europa: Stessi ingredienti, risultati differenti

Torno dopo tanto tempo su Viva Polska e vengo accolto da un video hip-hop. È di Owal/Emcedwa insieme a Mezo/Lajner, si chiama Pełen Pokus e qui potete/dovete sentirla. Dal video sembra di capire che il personaggio della canzone cerca di sfuggire a un discografico demoniaco e al suo sistema che corromperà di sicuro la sua stilosità. Il motivo per cui non potete non sentire questa canzone è che Owal/Emcedwa e Mezo/Lajner rimano in polacco su un giro di pianoforte identico a quello di Mary dei Gemelli Diversi. Da questo pomeriggio girerò in macchina con i finestrini abbassati, questa canzone a tutto volume e un’illuminamarmitta intermittente blu.

Hanno la mensa avariata

Faccio uno strappo al fioretto di non parlare di referrer strani perché ormai sono troppi. Non ci crederete, ma stanotte all'1.13 qualcuno da un computer del Senato della Repubblica Italiana è venuto qui cercando "scaricare cover Steven Seagal".

Quanto c’è di nuovo in cucina?

Dopo la celebrazione degli anni Sessanta, per i Belle & Sebastian adesso viene il tempo dei Settanta e degli Ottanta: tra due o tre anni chitarroni grunge? Comincio con una cattiveria perché da buon fan sono dibattuto tra l’orrore dell’imbolsimento di uno dei miei gruppi preferiti di sempre – non finirete mica rugosi e grassocci su un palco a presentare un vostro non più abbastanza inutile nuovo disco tra effetti speciali e statue volanti in grandezza naturale dei Velvet Underground? – e l’ansia vorace e anche un po’ cieca dell’ultima dose, ma che sia fatale anche per me oltre che per loro. Salvo che poi Stuart Murdoch solista non si inventi qualcosa, ma anche di questo mi vergogno un po’ e l’unica cosa che manca al quadretto è che io abbia un figlio adolescente che possieda soltanto i loro dischi e che sia un integralista nei confronti di qualsiasi altra musica, come certi miei coetanei lo erano stati brandendo le loro collezioni di dischi o meglio le discografie dei Pink Floyd o dei Queen dei genitori comprensive di costosissimi picture disc ancora intonsi nella loro confezione originale tanto oltre all’ellepì avevano anche i cd. Come se non bastasse ciò, lo stesso nome di Trevor Horn alla produzione per settimane ha ballonzolato nelle mie riflessioni tra le voci “boccata d’ossigeno” e “numero da circo”, perché un fan nonostante poi ci caschi sempre valuta, pensa, giudica anche se poi non ha forse il coraggio di ammettere che, nell’ottica dell’entrata in una storia di non so ben che cosa, sarebbe stato meglio fermarsi dopo The Boy With The Arab Strap. Se solo si fossero fermati lì (e ci avesero mandato comunque sottobanco tutte le nuove canzoni).
Dear Catastrophe Waitress poi è arrivato e noi fan siamo contenti. Ha già subito un cambiamento nell’ordine delle canzoni rispetto al cd promozionale e io preferivo la successione precedente. È un disco più lungo rispetto agli standard belliesebastiani e nella versone definitiva pare che verrà tagliata una delle canzoni circolate finora, (I Believe In) Travellin’ Light. Per la prima volta sulla copertina di un loro album (gli EP in questo caso non valgono) sono presenti un piatto di spaghetti e soprattutto i componenti del gruppo (orrore, ci hanno traditi, dopo i singoli estratti e questo cos’altro, i remix?): Amazon attribuisce copertine diverse al cd e al vinile, monocolori come sempre eppure troppo vicine ai colori dei precedenti dischi. Io preferisco quella con la cameriera imbronciata. Io preferisco la cameriera, sapete mica chi sia?
La prima canzone che ho ascoltato è stata Stay Loose che sul disco invece è l’ultima. Quando ho letto di Horn ho pensato che lo avessero chiamato per un disco che avesse lo spirito di Stay Loose, che riprendesse quella tentazione inesplorata di Electronic Reinassance presente su Tigermilk. I classici elementi sarebbero stati straniati dalla cornice, organetti e chitarre vecchia maniera su nuove (per loro) soluzioni ritmiche e voci devo-lute quel poco che non li facesse sembrare la versione hipster di Madonna che incontra Mirwais. Trevor Horn però non si è occupato di questo, anche se qui e là le zanzarine o gli xilofoni della Chicco non mancano. Il produttore non si è occupato nemmeno poi tanto di ripulire il suono dei B&S: lontani sono i tempi in cui si sentivano vezzosamente gli strusci delle dita sulle corde (come mi mancano) e persino le voci schiarite, il fruscio di fogli di carta su cui venivano letti i testi o l’apertura a strappo della custodia di una chitarra. Il compito di Horn è stato dosare la massimalità degli arrangiamenti, insieme necessità e punto debole della loro ultima produzione, e se solo ci penso mi sembra che come proposito sia simile a scegliere come dietologo il mostro di Milwaukee. Eppure non è andata male e se violini e derivati sembrano più svolazzanti del solito, i fiati vengono usati in maniera diversa e volutamente straniante, ora introducendo ora staccando, con funzioni non necessariamente di prima linea melodica rispetto ai soliti flauti e trombe marchiodifabbrica.
Trevor Horn non ha poi avuto nessuna influenza sulla scrittura delle canzoni, visto che la gran parte di esse era già nota ai frequentatori dei concerti e delle esibizioni radiofoniche della band. Addirittura Lord Anthony, uno dei classici dal vivo finora inediti, risaliva alla metà degli anni Novanta. Parlando di scrittura il particolare che più mi ha colpito è che Dear Catastrophe Waitress è un disco Murdoch-centrico come non accadeva dai tempi di If You’re Feeling Sinister. Isobelle Campbell ha lasciato il gruppo. Sarah Martin prende la scena completamente per fortuna soltanto per metà di Asleep On A Sunbeam, prima che la canzone sia salvata dalla sua esilità da Stuart. Stevie Jackson, che pure mi era piaciuto altrove, in questo disco tranne che nella debole Roy Walker è più che altro seconda voce: se poi si aggiunge che Step Into My Office dal vivo era cantata da lui e che la canzone tagliata era sua, perdono di fondamento le voci secondo cui Murdoch gli avrebbe ceduto il controllo del gruppo prima della sua uscita per una carriera solista. La perdita di fiducia nella formula mista, riuscita solo nel primo tentativo di The Boy With The Arab Strap, ha avuto come conseguenza un minor numero di riempitivi e una maggior compattezza che fanno funzionare DCW come disco in maniera migliore dello schizofrenico Fold Your Hands… o del brodo allungato di Storytelling.
Passando alle singole canzoni quella che amo di più è Lord Anthony, che sbuca dal passato e ha un’orchestra più trattenuta (ma non troppo) rispetto al resto del disco, ma soltanto perché nemmeno Trevor Horn ha avuto il coraggio di giocare troppo con la delicatezza di questo pezzo. Sentendola mi chiedo fino a quando non sarà patetico cantare/sentire canzoni come queste invece di concedersi una sana crisi di mezza età, saltando a piè pari i problemi del non essere ancora trentenni e del non essere più ventenni. Subito dopo la segue (anche se nel disco la precede in una sorta di malefico uno-due) Wrapped Up In Books che sarà anche tipica nel suo movimento e nel testo, ma che sorprende con quegli ottoni durante la pausa ritmica. Tornando all’ordine di ascolto, Step Into My Office riprende in ambito aziendale l’attitudine degli ultimi EP e si introduce con un gioco ritmico tra batteria e macchina da scrivere. Dear Catastrophe Waitress è il parco giochi di Horn che schiera archi testosteronici, trombette sguaiate e plink plonk di xilofono. Gli anni Settanta di If She Wants Me, ascoltate il falsetto di Murdoch e guardate il suo colletto alla Sandro Ciotti per credere, sembrano un’estremizzazione ordinata di Big John Shaft da Storytelling. Di Piazza, New York Catcher già si è parlato, ma si potrebbe dire anche che sembra un tributo a Simon & Garfunkel, così come I’m A Cuckoo, a parte trombe, cori, voce impostata e bzzz ricorda The Boys Are Back In Town dei Thin Lizzy (I’d rather be in Tokyo / I’d rather listen to Thin Lizzy-oh). Anche You Don’t Send Me ricorda cose già dal titolo e If You Find Yourself Caught mi piace alla maniera svergognata in cui mi piacciono gli Abba. Forse alcune di queste canzoni non piaceranno, almeno sulle prime, a chi già non ha accolto bene gli ultimi EP I’m Waking Up To Us o Jonathan David, ma diversi di questi pezzi crescono con gli ascolti a patto di apprezzare un approccio più divertito e meno intimista. Da valutare sulla lunga distanza.

Ricette

Prendete 400 grammi di Gang Of Four e lasciateli macerare per una notte in un composto di acqua, farina e Hall & Oates. Il giorno dopo preparate un soffritto di cipolle, aglio, Sam Cooke e Moby periodo “I’m feelin’ so real”. Mentre mettete a bollire in una pentola di media grandezza patate, cipolle, sedano, Simon, Garfunkel, Fargetta, Crosby, Stills, Young ma non Nash fino al punto di cottura denominato Sodastream, tagliuzzate listelle di radicchio rosso e dadini di Beth Orton e uniteli al soffritto innaffiando di Cat Power annata 1998. Preparate con le verdure cotte una spuma vellutata all’aroma di banana confidando nella fase lunare e usando come colorante E808-State. Cuocete al dente due etti di Scott4, mantecateli con gli Steely Dan alla Die Fantastichen Vier e grattuggiate dei Dodgy neri remixati da Paul Oakenfoald. Friggete il tutto in un bagno di Bomb The Bass, spolverate di clicks, bleeps, tricks e glitches e servite in tavola vestite da Violent Onsen Geisha, accompagnando il tutto con fiumi di Pepsi Boom senza caffeina o sakè corretto con Sophie Rimheden.

Quello che Repubblica una volta diceva e ora non dice: fermenti lattici vivi

Uno scienziato australiano ha scoperto che i cd suonano meglio se li spalmate di yogurt. I laboratori R&D di FFWD stanno approfondendo il tema nei suoi vari aspetti: il gusto dello yogurt influenza il risultato? La frutta a pezzettoni ha effetti positivi o negativi? Lo yogurt da bere va bene lo stesso?

Oggi

Non disturbate troppo le cameriere.

La canzone del giorno

More Than A Feeling - The Moog Cookbook

14.9.03

Switched on 15: Refried Cabrini-Dogana

L’annuncio iniziale di Harmonium si sovrappone all’avviso di uno sciopero nazionale. Due ragazze parlano in inglese due file dietro, hanno lunghi capelli biondi ma una delle due ha un accento milanese. Il basso rende le ruote del tram ellittiche. Le Clive Cussler-e e le Luis Sepulved-e non riceverebbero comunque lo sguardo dello slavososia elegante di Klaus Kinski giovane. Lo Boob Oscillator si innesta su un semaforo rosso e il suo ritmo cresce, mentre le ringhiere laterali discendono oblique verso l’undicesimo compleanno del Fiordaliso; per celebrarlo domenica 14 gran concerto di Bobby Solo. “Fosse stato Little Tony ci sarei andata”. 5, 4, 3,2, 1 spruzzati in serie. Sull’angolo de Il Ronchettino, montagna sdraiata sul fianco, il simbolo di FFWD bianco su sfondo grigio è una visione quasi gratuita e del tutto pornografica, preceduta dal mantra di un TRAM ripetuto n volte. I palazzi si assomigliano su Revox e si balla French Disco all’ingresso di Milano, ma non saprei dire quando ci sono entrato. Il film della testa che esplode e dondola per il sonno è l’eco di binari a esse percorsi una decina di minuti prima e la sua colonna sonora sono i tombini che inghiottono in un giorno acqua per una settimana. Poco prima di Via Giuseppe Lagrange è posteggiata una Mini Cooper che sul tetto ha la Union Jack e questo è Looove. In Piazzale XXIV Maggio la chitarra country irride una bandiera col sole verde tutta bagnata. Nei silenzi intertraccia le quattro ragazze all’inpiedi vicino al mio posto parlano in spagnolo di ipocrisia, dicono che gli italiani sono come gli inglesi. Animal or Vegetable (A Wonderful Wooden Reason…) monopolizza il centro e l’arrivo appena prima che la voce di Letizia – perché chiamare una figlia Letizia nel 1975? – ceda il passo e cominci la sua coda strumentale, suggestiva invece al ritorno nel buio serale poco illuminato del percorso inverso dal capolinea al campo base. La coda rumorista rende l’ascensore scricchiolante.

Oggi

Il 14, ventisette volte.

La canzone del giorno

Thirteen - Big Star

7.9.03

La mia mente piena di cose, piena di viti, cacciaviti, piena di chiodi

Aria, in ogni angolo della mia stanza io ti sto cercando
Aria, nei labirinti della mia mente io ti sto inseguendo


Alan Sorrenti. Quello dei figli, delle stelle, degli amori dati, delle uniche donne, delle giapponesi francesi e delle spiagge paradisiache. Poi ascolto Aria, 1972. È il suo primo disco e quando finisce Vorrei Incontrarti ci si chiede perché. Il primo pensiero è voglia di successo e soldi facili, poi nell’ordine attacco d’improvvisa follia, morte e sostituzione con sosia, presa per il culo dalla durata decennale, fratello gemello genio del male. Scopro invece che dopo il secondo disco iniziò a non arrivarci più con la voce e per uno che veniva accostato a Tim Buckley, non del tutto correttamente viste le differenze non solo nelle sfumature (una su tutte: Sorrenti non si poteva avventurare sulle tonalità basse), per uno che con la voce stupiva e incantava deve essere stato un dramma, fatto anche di contestazioni e lanci di bottiglie ai concerti. Eppure nemmeno questa versione mi convince dopo l’ascolto di Aria, a meno che non sia tutto frutto di follia, Aria, la svolta, io che vi parlo di Alan Sorrenti.
Sul vinile il lato A era occupato interamente dal pezzo che dà il titolo al disco, quello che che comincia col vento con le chitarre che introducono altre chitarre che introducono tastiere che introducono vocalizzi acuti di Sorrenti stile balena ferita alla Sigur Rós, che anche sotto quell’aspetto non hanno inventato niente. Aria parla per venti minuti di una donna o di altro, non importa. Cogliere ingenue metafore come Aria = ossigeno = musica non mi interessa, preferisco pensare che tutto questo sia dedicato alla groupie di una sera. Le immagini e i riferimenti visivi tipici del rock progressivo nel mio caso sfuggono alla convenzionalità perché non ho mai frequentato il genere e mi sembrano elementi surreali ed eccessivi. Trovo tutto surreale ed eccessivo, debole: un tizio che vocalizza per venti minuti, il testo che parla del sesso di una sera evocando principesse in carrozza che probabilmente già indossavano pantaloni a zampa d’elefante e poi la musica, anche hammond soft-porno e persino un inserto spagnoleggiante che ti chiedi se la principessa in carrozza, e non si parla di treni, si trovasse a Pamplona e se Alan Sorrenti fosse salito su un tavolo con le nacchere e la voce vestita da baffuta ballerina di flamenco. Poi prendo tutto insieme e l’effetto è opposto, un senso di allucinazione senza pause. Quello che separa la sezione ritmica e la chitarra viene cucito dalle tastiere, dal violino e dalla voce di Sorrenti. La voce di Sorrenti, che non sembra un ridicolo esercizio di stile perché non te ne dà il tempo, come il violino di Jean Luc Ponty, collaboratore di Zappa e della Mahavisnu Orchestra, non dà il tempo di riflettere sul suo virtuosismo ed è un bene visto che vado poco d’accordo coi virtuosismi. Aria mi assalta come ascoltatore insomma in maniera pre-critica grazie al suo intreccio che rende affascinanti millecentonovantatre movimenti di lancetta privi di un centro che non siano quelle quattro lettere e persino vocali che durano dieci secondi, toni, semitoni, infratoni pitchati (vero Jonsi?) e quello che di più atomico si irraggiunge nella modulazione trattata delle corde vocali (scusate la ripetizione).
Aria ha anche un lato B che contiene tre canzoni dalla durata più concisa, che qualcuno ha definito emanazioni di quanto sentito nella suite (scorrete il link fino a “La nuova aria di Alan Sorrenti”) e che nella loro durata ridotta riprendono le precedenti scelte all’interno di forme e durate più simili a quelle della fruibilità di oggi. Tralasciando la conclusiva Un Fiume Tranquillo, troppo vicina al rock progressivo per colpirmi e di cui si potrebbe pure fare a meno, e La Mia Mente, che per tutta la sua durata contrappone melodie lineari ed esecuzioni sghembe, la vera gemma è Vorrei Incontrarti.
Vorrei Incontrarti sembra semplice anche se non lo è, ancora più immediata di Aria. Se Aria sceglie la via della solidità e dell’espressione per descrivere la fragilità, Vorrei Incontrarti si trattiene ma non si concede protezioni, mostra nude le vene che non sono più fiumi inarrestabili tra le rocce. Il bisogno dell’altra è in questo caso bisogno dell’indecisione (“vorrei”) e ci si chiede il perché di questa indecisione quando quegli arpeggi suonano tutt’intorno: i “ma” ci sono, sono ancora l’incertezza (delle proprie reazioni), i nomi delle sconosciute di cui riconosciamo il viso e che si aspettano comunque, gli altri che le circondano con una sensazione fobica di soffocamento. Anche qui l’altra (forse) non è soltanto una donna, ma la delicatezza melodica delle ragnatele di chitarra e i soffici effetti elettronici pur nel loro tocco lieve disegnano la corporeità di una figura femminile sullo sfondo, le sue ciglia, i capelli lunghi che si scompigliano quando si volta all’improvviso. La compressione della passione nell’attesa è riassunta dal finale, il tema della canzone ripreso nel più classico dei gesti nervosi e insieme musicali, il tema della canzone fischiettato davanti ad un cancello. Fischiettato mentre si guarda l’orologio (e per questo io non ne porto). Fischiettato mentre ci si allontana, facendo finta di niente.

Oggi

Meglio portarsi anche una felpa?

La canzone del giorno

See The Sky About To Rain - Neil Young

5.9.03

Dear Catastrophe Waiter

Ehhhhh. Uhmmmmmm. Mahhhhhh?

Piazza, New York Catcher

Mike Piazza. E voi conoscete Mike Piazza? Fino a qualche minuto fa nemmeno io. Già, perché a meno che non seguiate il baseball U.S.A. ignorerete tranquillamente la sua esistenza. Mike Piazza è il catcher, qualcuno traduca in italiano per favore (ricevitore?), dei New York Mets e queste sono le sue statistiche. Interessante, ma che ci frega? I New York Mets non stanno andando tanto bene e Mike Piazza non vuole rispondere ai pettegolezzi sulla sua omosessualità. Ripeto la domanda, e allora? Una delle passioni di Mike Piazza è la musica.
Nel nuovo disco dei Belle And Sebastian, di cui forse tra qualche giorno troverò il coraggio di parlare, una canzone si chiama Piazza, New York Catcher. Sembra il massimo per un catcher amante del pop: una canzone d’amore, sullo sfondo il baseball e la sfida Giants-Mets e il titolo che contiene il suo nome. Ma nella canzone torna il tormentone sulla sua sessualità e quel cattivone di Stu Murdoch, solo con la sua chitarra, non solo si indirizza direttamente a lui (“New York catcher, are you straight or are you gay?"), ma in alcuni passi successivi mantiene ambigua la persona a cui si rivolge, tanto che non si capisce se parli a Piazza o alla ragazza che compare altrove nel testo. Piazza non ha commentato.
Ma c’era proprio bisogno di parlarvi di lui? Beh, Mike Piazza è ospite fisso in un programma musicale radiofonico e sapete cosa ha fatto l’altro giorno? Zitto zitto ha consegnato al dj un cd che conteneva una nuova canzone dei Guns’n’Roses, i cui elementi elettronici non lasciano dubbi sulla produzione recente. La stazione radio è stata subissata da telefonate e tra queste si è fatta largo quella dei legali dei G’n’R. Nonostante le numerose e-mail che richiedavano il pezzo, la radio ha dovuto addirittura cancellare il passaggio dalle registrazioni. Quella canzone ancora non doveva circolare e i legali hanno voluto sapere come ha fatto Piazza ad averla. Mike l’aveva ricevuta per posta tre settimane prima da un fan anonimo che ben conosceva la sua passione per la musica. È stato costretto persino a consegnare agli avvocati il cd. Se non ci fossero stati di mezzo i Guns’n’Roses questa storia sarebbe stata irresistibile.

Beyoncé-d /1: tutti matti, mattina e sera finché vien la primavera

L’ultimo esperimento bastard-pop su FFWD ha suscitato poco interesse e soprattutto mi aspettavo che qualcuno notasse una citazione colta nei campionamenti, cosa che invece non è avvenuta. Ho capito, devo buttarla sul sesso: anche noi ci pieghiamo all’inzoccolimento del bastard-pop. Sono stato indeciso fino all’ultimo minuto ma poi ho avuto un’illuminazione: scambio di coppia, sta scritto su tutti i manuali. Scelto il genere mi si poneva davanti, insormontabile, un altro ostacolo: chi? Come sempre la radio è corsa in mio aiuto. Marini canta che lo vuole fare mattina e sera finché vien la primavera, cambio canale e sento Beyoncé Knowles. 2+2=4. Sulla base strumentale di Crazy In Love di Beyoncé e Jay Z si avventura una coppia atipica come Giovanna Marini e Francesco De Gregori in un canto lussurioso in cui la battuta hip-hop americana si sposa con le chitarre soniche italiane. Certo Marini ogni tanto stona e va fuori tempo trascinandosi dietro l’incolpevole compagno De Gregori, ma il risultato è paradossalmente accettabile: Lo voglio far mattina e sera finché vien la primavera.

Beyoncé-d /2: Etno-hip-hop e parodie: /1 tutti matti, in Cina e in Israele

Avete presente il senso di spiazzamento che può provocare un successo pop stra-sentito quando all’improvviso al posto del rap in americano arriva una voce cinese? Succede con la versione per il mercato cinese di Crazy In Love (il link già non funziona più). Effetto minore ottiene invece la parodia israeliana di una stella americana: 50 Shekel.

Beyoncé-d /3: Etno-hip-hop e parodie: /2 tutti matti, incubi in Sardegna

Siete in Sardegna in vacanza. Il dj tiene su un piatto Crazy In Love e sull’altro la versione strumentale in modo da farvi cantare il ritornello senza la voce di Beyoncé in sottofondo. Il dj impazzisce e vi spinge a cantare al posto di Got me looking so crazy right now la frase più scabrosa dell’estate musicale, Quella bestia non è il mio papà. Il piercing sulla lingua è una metafa.

Oggi

Senza disturbare.

La canzone del giorno

Gender Studies - The Soft Pink Truth

4.9.03

Comic Strips

Coniglio Cattivo Mego-style e Lupus stone-washed. Ragazzi, io da piccolo non sapevo disegnare quindi non aspettatevi niente.

Ye Olde Electronic Games

In tema di retrogaming elettronico, che poi sarebbero i giochi elettronici di quando eravamo piccirilli, Loser e Gomitolo richiamano alla memoria l’Atari e alcuni classici immortali del videogioco spesso copiati e modificati q.b. dalle console cloni come la Colecovision fece col suo “Il Gatto e il topo” ispirato a Pac Man. La grafica limitata dall’architettura a otto bit negli ultimi tempi è stata utilizzata diverse volte nei video musicali, confidando in una platea plagiata nella giovinezza da camerette, schermi luminosi e joystick. Uno dei casi più riusciti è stato il video di Move Your Feet (che titolo!) del duo danese Junior Senior, quello con lo scoiattolo dinamitardo. A seguito del grande successo dell’operazione i Junior Senior hanno proposto sul loro sito un divertente videogioco che riprende le situazioni del video e le convenzioni del genere anche negli effetti sonori.
Per quanto riguarda invece D-D-Don’t Don’t Stop The Beat, i Junior Senior hanno prodotto un disco party ciunga ciunga ciun ciun a breve conservazione che assolve bene il suo compito. I Junior Senior riescono dove gli Electric Six mostravano la corda e soprattutto risultano meno omogenei, anche se curiosamente la parte migliore è proprio la tirata cinquina iniziale con pezzi strutturalmente simili. La somma di coretti, chitarrine surf ed elettronica da compilation disco 70-80 è lontanissima dall’ossessione per la frattura e per la scomposizione così cara all’ultima elettronica di oggi, tanto che D-D-Don’t Don’t Stop The Beat sembra sbucato fuori dalla fine degli anni Novanta, anche se il gusto paranoico per le radici del rock che affligge molti ascoltatori ai giorni nostri li potrebbe fare apprezzare come la versione cialtrona – ne è possibile un’altra, seriamente? - del revival “ventenne suona la musica di suo nonno vestito di bianco e rosso”. Ci piacciono i Monkees, ci piacciono i B52’s e salveremo la dance e il rock. Per questa settimana.

E poi all’improvviso dalle nebbie del passato tornò un fantasma a tormentarti, sulle note di One Step Beyond

Ci si skiaccia
Ti si skiaccia
Mi si skiaccia
Ci si skiaccia
Gli si skiaccia

Late

I Delgados avrebbero dovuto chiamare così Hate, perché nonostante il gioco di parole tra testi e musiche Hate è un disco che arriva in ritardo. Arriva in ritardo a marzo al fan dei Delgados che ne conosce l’intera discografia ma poi rimanda per inspiegabili motivi. Arriva in ritardo alla fine di luglio all’anziano trentacinquenne che non li conosceva fino al giorno prima dell’acquisto. Comunque arriva e produce effetti sulla cui legalità ho dubbi, visto che il primo parlandone tira in ballo statue di zucchero e il secondo le colonne sonore di film polacchi. Ma poi, perché ne parlo solo ora? Che sia in ritardo?

Le notizie in ritardo, in giacca a cravatta

Mentre guardo distratto la rassegna stampa di Sky TG24, ho un’improvvisa illuminazione: i miei punti in comune con Salvo Sottile. La nostra dizione è similmente neutra, sono seduto di sbieco davanti ad uno schermo LCD e vi presento una rassegna stampa nel cuore della notte. Io però indosso giacca a cravatta a quest’ora perché lo voglio e non perché mi hanno obbligato. Con la promessa di non indugiare nel rock baltico e ricordando che Carraro si deve dimettere, eccovi alcune notizie stagionate al punto giusto.

Per un approccio serio e critico alla riabilitazione di Justin Timberlake: Non è tutto Neptunes quel che luccica. Non sono molto interessato alle sorti della reputazione di JT, ma tutto quello che ridimensiona i Neptunes per me va bene.
[Slate]

Città più sicure: giovani indie-star di quartiere per tutti. Speriamo che Little Tony Blair colga la palla al balzo. La violoncellista degli Arab Strap ha salvato una coppietta vittima di una banda di ladri. Stacey Sievewright è corsa in loro soccorso, ha inseguito i malviventi e li ha consegnati alle forze dell’ordine. (pheego, ho usato coppietta, malviventi e forze dell’ordine). La cosa più esilarante dell’articolo è il titolo che definisce Stacey una pop star.
[Evening Times]

Il premio per chi vende poco: vi consoliamo con l’aglietto. Lo Shortlist Music Prize è un premio che viene assegnato al miglior disco dell’anno che ha venduto meno di cinquecentomila copie. I candidati finali sono: Interpol, Bright Eyes, Cat Power, Floetry, Black Keys, Cody ChesnuTT, Damien Rice, Sigur Rós, The Streets e Yeah Yeah Yeahs. Com’è facile aspettarsi io voterei per ( ).
[Yahoo! News]

Oh, devi sentire il gruppo del futuro, non li conosce nessuno: quando i nostri cocchi vanno sulla stampa vera. Time Magazine ha deciso: gli Spoon sono il gruppo da tenere d’occhio nel 2004. Il mio occhio lo faceva da tempo.
[Time]

Per un revisionismo storico che metta in chiaro le nefandezze della storiografia musicale schierata: gli ABBA non facevano schifo o almeno non lo facevano sempre. Cos’altro dire se non che la linea editoriale di FFWD è stata sempre per una consapevole e non ideologica valutazione del gruppo svedese che tanto ci ha fatto ballare in utero e nei primi mesi di vita. Se non siete d’accordo le opzioni sono quattro: a) smettete di leggere FFWD quando parla degli ABBA; b) smettete di leggere FFWD; c) cercate di trovare la password di blogger, la cambiate e prendete possesso del sito trasformando questo in un blog contro gli ABBA; d) ossigenatevi i capelli.
[Stylus Magazine]

La colonna sonora di Kill Bill: tra le cantanti non c’è però Hillary Rodham Clinton. Ma ci sono tante altre scelte che lasciano a bocca aperta: Don’t Let Me Be Misunderstood di Santa Esmeralda, Bang Bang cantata da Nancy Sinatra, Shin Jingi-Naki Tatakai di Tomoyasu Hotei che abbiamo già sentito nel promo e poi composizioni di RZA, Luis Bacalov e Bernard Herrmann. Rispolverate le vostre tutine gialle.
[Ain’t It Cool]

Baci lesbici e proteste: questi matti canadesi. Il Toronto Star ha ricevuto una marea di proteste per avere pubblicato in prima pagina le foto del bacio tra Madonna e Britney Spears (chissà perché poi hanno scelto la Spears e non Christina Aguilera). Stranamente i lettori del giornale non hanno lamentato la gratuità dell’operazione, quanto la sua forma: le foto dovevano andare soltanto all’interno. Il direttore del giornale si è scusato paragonando l’immagine all’uso sensazionalistico della violenza grafica proveniente dalle zone di guerra. Ricordo che qui non troverete link a foto o video dell’avvenimento, ma volendo potete accontentarvi di una diretta testuale in differita degli MTV VMA.
[Toronto Star & Fluxblog]

Notizie dal set di School of Rock: customer care. Craig Wedren e Jimbo O’Rourke hanno allenato i ragazzini di Richard Linklater prima delle riprese. Hanno suonato con loro Sweet Jane e It’s a Long Way To The Top If You Wanna Rock and Roll. A proposito di cinema e Velvet Underground, si consiglia la notte di Fuori Orario di venerdì 12 settembre a loro interamente dedicata, che vedrà la trasmissione di Velvet Underground And Nico e Lou Reed’s Rock’n’Roll Heart.

Lester Bangs + Brian Eno = inedito. Lester Bangs aveva intenzione di scrivere un libro su quattro estremisti del rock’n’roll. Uno di loro era Brian Eno. Il libro non fu mai completato, ma il capitolo su Eno fu terminato nel 1980 a seguito di un lungo lavoro fatto di corpose interviste e persecuzioni sul palco e nello studio di registrazione. Signore e signori: : A sandbox in Alphaville.

Oggi

If grief come early, joy comes late. If joy come early, grief will wait.

La canzone del giorno

Suite for the Ways Things Change: a) Your Family, b) Your Life, c) The Most Beautiful Things, d) Your Seeds - Prefuse 73

3.9.03

The Clappers

Una pericolosa lobby segreta sta cercando di prendere il controllo del mondo della musica. Si sono infiltrati tra i generi e operano ormai allo scoperto, tanto vasta è la loro azione. Hanno scelto il 2003 per l’attacco. Sono i battitori di mani. Sono ovunque e non hanno mani screpolate. Ecco un piccolo elenco delle loro malefatte, destinato com’è inevitabile ad estendersi. Sentitevi liberi di integrarlo se scoprite qualcosa che è sfuggito ai nostri servizi segreti.

Waking Up (Lo stesso Dando ubriaco) – Evan Dando
Never You Leave (Oh, Oh, O-Oh) – Lumidee feat. Busta Rhymes & Fabulous
Beautiful (Battito di mani brasiliano con rimozione di forfora dalla spalla nel video) - Snoop Dogg Dog & Pharrell
Stars & Sons (Chi non suona uno strumento applauda, per favore) - Broken Social Scene
Girls & Boys (Lunga vita al corpo di ballo) - Good Charlotte
Gay Bar (Aggiunto e ostentato nel video) - Electric Six
Una canzone a caso da D-D-Don't Stop The Beat - Junior Senior
Cuorum, ma anche Il Senso Della Vite (Sì lo so, sono dell’anno scorso ma io le sento da quest’anno) – Perturbazione
The Sound Of Settling (Hanno invitato anche i parenti) – Death Cab For Cutie
L’uomo che non parla (Troppo facile battere le mani col coretto gospel, gli Elbow hanno evitato per esempio) – Cristina Donà
Misprints (Se non è un battimani, è una macchina fotografica che scatta una foto mentre cade da 65 cm.) – The Matthew Herbert Big Band
As Serious As Your Life (In circolo) – Four Tet
Stacy’s Mom (È lei che applaude?) – Fountains Of Wayne
Need One (Tricky rosica perché nessuno applaude (in) Vulnerable) – Martina Topley Bird
Hypnotise (Su disco non c’è, dal vivo sì) – The White Stripes
Black Tongue (Decompressione ormonale) – Yeah Yeah Yeahs
We Suck Young Blood (Battito di mani depresso-anemico) – Radiohead
Clark Gable (Con quei baffetti da sparviero) – The Postal Service
Choking You (Astratto) – Prefuse 73
Il jingle della pubblicità della 307 SW
Jacknuggeted (Quelli eran giorni) – Manitoba
Every Party (Synthetico 82) – Erlend Oye & Prefuse 73
Mt. Eerie (Dark) – The Microphones
Blooms Eventually (Sfasato) - Pulseprogramming
Stop Sign (Nuove frontiere del feticismo battimanistico: guanti firmati bianconeri) – ABS
Lettere Da Sparo (Nuove frontiere del feticismo battimanistico: battimani + dita schioccate) – Amari
Late Night Shopping (Autoriale) – David Sylvian
Pilipino Rock (Il defunto Elvis ha perso il Pelvis ma ha ancora due mani e con quelle he will, he will rock you) – Elio E Le Storie Tese

Star Blog

Sono famosi, acclamati dalle folle ma fissano quotidianamente i loro pensieri su pagine simili a queste. Sono le star della musica che entrano nel mondo dei blog. Tra gli ultimi arrivati le novità più succulente sono due: William Shatner e William Oldham.
William Shatner dopo averci regalato alcune delle più ispirate riletture della storia della musica conduce insieme alla figlia Lisabeth, quella coi capelli rossi, e al suo fan club un blog collettivo in cui è possibile lasciare anche i propri commenti.
Legato invece al tour sulla costa orientale con Björk, Sigurrosi e Yeah Yeah Yeahs è il blog di Will Oldham (Bonnie ‘Prince’ Billy), tanto che il suo good bye, copiato certamente dal mio ciao, chiude il blog nell’ultimo giorno di agosto. Divertente la rubrica Domande&Risposte, spesso presente alla fine dei post. Potrete leggerlo solo fino alla fine di questa settimana perché poi sarà cancellato.

È uno scandalo!

Non lo dovevano fare. Non se ne può più. Adesso hanno rovinato una delle mie canzoni preferite. Ma che bisogno c’è di queste riletture in cassa dritta, di questi remix rap, di questa brutta musica fatta solamente con la batteria? Poi guardiamoli in faccia questi Nex #1, chi si sentono? I Neptunes? P. Diddy? I Gemelli Diversi? A che titolo hanno martirizzato Una Notte Al Telefono di Gigi D’Alessio per la loro ignobile versione hip-hop? Ma la colpa è anche di Giggi che sul suo sito addirittura fa loro pubblicità. È connivente. Mica come Nino che si è sempre opposto al remix di Cecchetto di Vai.

Oggi

Maniaci dell’applauso.

La canzone del giorno

Clap Your Hands - A Tribe Called Quest

2.9.03

Ritratti: Mario Giordano*

Mario Giordano ha una passione musicale segreta a cui tiene molto: il grind-core. Sotto-sotto-genere ascritto spesso al ceppo di massima dell’hardcore e del thrash venato di crust punk, il grindcore ebbe il suo apice durante gli anni Novanta, più o meno in coincidenza con la grande crisi del metal classico. A quei tempi il giovane Mario sgobbava sulla carta stampata lontano dalle sirene tentatrici del giornalismo televisivo e la miscela di sesso, carta vetrata vocale e terrificante casino strumentale proposta da gente come Terrorizer, Blood, Haemorrhage, Agathocles o Disrupt lo aveva finalmente allontanato dal finto furore (furore furore nanna nah nah) dei Pantera di Phil Anselmo e dal programma di Nikki su Radio Deejay, l’ex-Affexxion che si era definitivamente sputtanato con L’Ultimo Bicchiere, inno alcolico e millenarista scritto da Max Pezzali sotto sambuca, nostradamitica premonizione delle collaborazioni coatte Vasco Rossi / Irene Grandi, Jovanotti / Syria, Morgan / Paola&Chiara, Amedeo Minghi / Mariella Nava.

Io credo di aver parlato di grindcore soltanto due o tre volte, con Roberta. Ho sempre avuto l’abitudine di arrivare con un certo anticipo sull’inizio delle lezioni sia al liceo che all’università, nonostante non ci fosse particolarmente bisogno, ma fortunatamente c’era sempre qualche ragazza interessante che per cause logistiche arrivava in anticipo e con cui era piacevole chiacchierare. Come Chiara C. – e giuro che C. non sta per Caselli –, meteora del terzo anno di liceo che arrivava qualche minuto dopo di me, o perché l’accompagnavano a quell’ora o perché così trovava sicuramente il posto per il ciclomotore nel garage della scuola. Quella volta che individuavamo una retta perpendicolare alla strada verso certe tombe etrusche dovevo dirti una cosa, nonostante tu andassi matta per i finti ribelli (e in particolare ai tempi credo che ci fosse anche un finto ribelle, forse quello che sembrava Lorenzo Lamas in Renegade o, no, era l’ultras col capello rasato e il pizzetto), nonostante tu amassi i LITaliaFInisceaBAri (sì, allora erano usciti con U Terremotu e io invece ti avevo stupito con la mia conoscenza di Guerra e con la mia teoria che Piero Pelush non si ispirasse a Demetrio Stratos ma a un pastore sardo con l’alluce incarnito) e soprattutto nonostante quella mattina poco prima tu avessi accolto sul pullman l’inizio di Nothing Else Matters con un preferisco i veri Metallica, quelli non commerciali (vi ho mai detto che non sopporto il metal e i Metallica?), quella volta avrei dovuto dirti che eri la più bella compagna di classe che un cambio di sezione mi avesse mai potuto regalare alle 11e37 in una regione diversa dalla mia sulla strada verso certe tombe etrusche. Alla fine dell’anno la classe decise di riunirsi nella casa di campagna di V. invece di andare a vedere i risultati e tu e le altre ragazze eravate lì dalla sera prima per un pigiama party, si chiameranno ancora così? Il giorno dopo non eri insieme a noi perché dovevi traslocare, non perché poi avresti cambiato classe e scuola, ma di notte ti avevano ripreso con la telecamera mentre ballavi e discutevi con le altre e io avevo passato parte della giornata facendo finta di ritrarre le compagne presenti all’appello – no, niente zoom sconvenienti, giuro –, mentre invece guardavo te grazie ai miracoli delle funzioni aggiuntive della Sony Handycam numeriacaso. Poi l’ho rivista soltanto una volta, per caso, circa un anno e mezzo dopo, i capelli tagliati corti e un fidanzato modello impiegato del catasto così anziano che ora non riesco a definirlo ‘il suo ragazzo’ – è per quello, solo per quello –, in un cinema ma non vi dico a vedere cosa perché rischierebbe di sembrarvi un particolare inventato e dissiperebbe la coltre biografica di questo pezzo.

Roberta invece è stata collega meteora al biennio universitario, così come Giusy: era iscritta ad un corso diverso dal mio ma il primo anno avevamo tutte le materie in comune per via delle iniziali e così le mattine erano anticipate da lunghe chiacchierate che non tralasciavano notizie d’attualità quali la nascente psicosi della muCCaPPaZZa o la sostituzione delle batterie ossidate negli swatch biologici. Nonostante in quel periodo, ehm, amasse la musica classica, Roberta mi disse che quando qualche anno prima ascoltava Planet Rock andava pazza appunto per il grindcore, pare che ci fosse stato per qualche settimana anche uno spazio fisso presentato da nonricordochi da cui aveva registrato pure delle cassette. Roberta era ballerina di danza classica, mentre Giusy era ballerina di danza moderna – che poi me lo devono spiegare, perché chiamano la disciplina hip-hop o R&B e poi in sottofondo mettono musica di altro tipo –, fatto sta che al secondo anno entrambe cambiarono facoltà. Parlo anche di Giusy perché ho visto soltanto una volta un concerto che alla lontana poteva essere ricondotto al grindcore e quella volta invece c’era Giusy, che era lì insieme al suo ragazzo e ad un’amica: il cantante barriva come imponeva il suo ruolo, ma doveva bruciargli la gola perché alla fine di ogni canzone si scolava mezzo litro di acqua minerale e l’immagine che ne ricavavamo era una via di mezzo tra un documentario su un rinoceronte ferito e la pubblicità della Rocchetta con Rosanna Lambertucci. Le ultime volte che ho visto Giusy e Roberta sono state Giusy che ballava in uno show di una televisione locale e Roberta qualche giorno fa da Ricordimediastores commessa al piano terra (libri, singoli, italiana, colonne sonore).

I due paragrafi precedenti possono essere saltati se siete interessati a Mario Giordano ma non al grind-core.

Mario Giordano poi è cresciuto, ma non ha dimenticato la sua passione musicale anche se ha capito che il pubblico non deve essere oggetto di perversioni private, ma il privato deve essere soggetto di perversioni pubbliche. Da quando è diventato direttore di Studio Aperto la coltiva in segreto, imponendola ai rassegnati colleghi di redazione e novello Professor Guidobaldo Maria Riccardelli ha scelto i suoi nuovi collaboratori pescando dalla scena grind-core italiana. Prendiamo Patrizia Caregnato: il nuovo volto aggressivo di Studio Aperto è un nome storico e di culto, la cantante delle Una DiAvola Det.tagliaTa, la più importante all-girl-grind-core-band della costa orientale, gruppo ovulare di riot grrrls che giocava sul contrasto tra vocalità abrasive e impeccabili tailleur Upim ’84. Oppure Silvia Vada. L’inviata a Torino aveva segnato i primi anni Novanta con la sua interpretazione gotico-scat-elettronica del genere. Le morbose liriche del suo gruppo, i Synt2000 ErrOr, in seguito hanno influenzato anche il reverendo Marylin Manson (che proprio oggi l’ha indicata come una delle sue maestre qui sul suo blog) e l’uso sul palco di cassette dati del Commodore 64 suonate su normali registratori folgorò un allora giovane Alec Empire. All’arrivo delle prime smagliature però decise di abbandonare consensualmente i compagni di strada che peraltro mal sopportavano le sue truculenze verbali. Non potendo poi licenziare i vecchi assunti, Mario li ha iniziati a colpi di nastroni autoprodotti: la vittima preferita di Giordano, il suo vice Claudio Brachino, ha dovuto abiurare in pubblico la sua passione per la discografia di Alessandro Canino. Chess’addafa’peccampa’. Il gruppo storico della gestione Liguori invece è stato progressivamente isolato se non epurato per la refrattarietà al genere e infatti nessuno di loro ha mai intervistato Sconsolata o Manera o Cirilli o qualcuno di Zelig insomma o partecipato al complotto per la rivalutazione della finta testa di Valeria Marini.

Mario Giordano comunque, nonostante l’apparenza forse inganni, è ancora uno sgobbone come ai tempi delle sue prime apparizioni televisive quando vestito di verde impersonava il Grillo Parlante nella rappresentazione di Pinocchio in collaborazione con la Melevisione, malvisto da Tonio Cartonio e sostenuto da Gad Lerner, o come quando solcava le assi del Maurizio Costanzo Show e veniva scambiato da MCS per il fratello di Sonia Cassiani o di Carla Liotto, quella che voleva sposare un miliardario, sempre snocciolando bilance truccate, indici in calore e numeri soprattutto numeri, come quello scandaloso e gonfiato ad arte novantasessantanovanta. Certo non è più il brutto anatroccolo di una volta – il primo che dice che ora è diventato LuCignolo lo lincio – , ma nel tepore domestico appena variegato dall’aria condizionata del luogo di lavoro conserva ancora un briciolo della sua lontana passione giovanile nata fin dai tempi di Tele Ciociaria e delle veementi reprimende contro quella fetentona di Paola Barani.

* direttore di Studio Aperto.

Oggi

Egli rincorre i fatti come un pattinatore principiante, che per di più si esercita dove è vietato.

La canzone del giorno

Disorganization - Zenigeva

1.9.03

One cold minute

Un post per ricominciare. Potrei raccontarvi di aneddoti agostani, ma c’è tempo e poi la penso come EmmeBi e poi io non solo vado poco d’accordo con le diapositive altrui ma mi annoiano anche le mie e se qualcosa vi voglio raccontare prima o poi l’avrete, eventualmente a dicembre. Potrei parlarvi del dicembre che è agosto e della prima rata del riscaldamento da pagare e di quelli che se la prendono con Biagi, ma lasciano passare per il secondo anno di seguito a colei che già confonde il 1986 con il 1987 l’equazione di conferma Ferragosto = Natale, ma si sa, a Ferragosto siamo tutti più buoni, siamo Angeli Con La Pistola e non ci si fraintenda. Potrei parlare del famoso post sulle pagini culturali di quell’importante quotidiano italiano, quel post sui puntini, sui puntoni e inspiegabilmente non sulla mania per le parentesi e le divagazioni, ma ho una coda di paglia che fa provincia visto che chiedendo il blog di Luzzato Fegiz ho scritto Corriere, svegliati! e poi trovo banale prendersela con la stampa – peccato, perché ancora nessuno aveva fatto notare che il disco dei Giardini di Mirò, molto apprezzato dai blogger italiani, si chiama Punk…Not Diet!. Per la cronaca e tornando alla colei, scuoti il tuo culetto culetto è cantata da Lene, l'ex-cantante degli Aqua, quelli di Barbie Girl e dei creativi delle mezze minerali. Potrei parlare dell’inzoccolimento del pop da classifica, ma non mi sono ancora dotato di priapite acuta per tramutarmi da critico delimitatore in critico conoscitore e poi io ci sono cresciuto con un certo immaginario e alla fine se non sono distratto non me ne accorgo nemmeno, al limite penso che negli anni Ottanta sono stati fortunati ad aver scampato una Cindy Lauper modello Aguilera. Potrei parlarvi di Maria Grazia Crucillà, ma purtroppo Oggi non è online e non ho intenzione di comprare gli arretrati. Potrei parlarvi di dischi nuovi che ho sentito nel frattempo, ma questi dischi non ci sono, vabbé forse uno, due, qualcuno c’è ma sono più che altro riscoperte. Potrei parlarvi di una bancarella che vendeva “Bacardi Freezer”. Potrei convincervi che ad agosto faceva freddo, ovvio che fa freddo ad agosto. Potrei impiegare il tempo restante di questo minuto iniziale annunciando l’ultimo mio delirio bastard-pop. Avevo detto che Agosto dei Perturbazione sarebbe stata la mia canzoncella per l’estate e pare lo sia stata anche per molti altri blogger. Poi in un giorno di agosto congelato è impazzita Cesara Buonamici.

Quando due diventano uno

Il bastard-pop è nato come fenomeno sotterraneo e quindi ha legato il suo aspetto grafico a neutre white label, quando andava bene identificate da titoli scritti col pennarello. Pensate però cosa sarebbe potuto venir fuori se questi pigri dj avessero perso qualche minuto col photoshop: copertine bastarde. Le mie preferite sono:
The Will Smiths - Beat Is Murder
Blind Mellon Collie And The Infinite Sadness
(per motivi generazionali)
Justin Timberlake And Rammstein - Like I Hate You
Elvis Dylan Fiorello Costello - Finalmente Falso

If I could write books this one would be about you, called “How I Spent My Summer Lost Without You”

I do pop ‘cause that’s what my heart goes, I don’t call it art, no sir.
…while I paint your shores with snow ->
-> I’ve been taking comfort in songs I’ve heard…
One minute we’re sub-zero and in the same breath piping hot
we’re in deep
I’ve seen into your future, I saw the ending
and we’re breathing the same cold air
Cause I’m tired of all the folks and their shady practices
We used to marvel at the way the snowflakes looked
Under the setting sun until we (were) getting numb
Hey did you ever know that songs are just some thick little words
And that I still get chills when I hear Paul sing “Golden Slumbers”
Cause it reminds me of our house and how it used to snow there
And lets me know that I can still skip town and end up nowhere.

Emi & Mei

Per la serie quanto mi mancavano i link stupidi, ecco una pagina che permette di determinare sulla base di infallibili bioritmi le cinque celebrità con cui vi trovereste meglio. Con l’unico intento di verificare che i miei gusti musicali venissero riflessi dal risultato scientifico ho sottoposto la mia data di nascita con questi risultati:
1) Rie Tomosaka (foto): supermodella, attrice e cantante pop giapponese con lo pseudonimo di Eri Sakatomo.
2) Alison MacInnis (foto): la Power Ranger rosa, fan di Gilmore Girls.
3) Stephanie Swift (niente foto): ehm, pornostar.
4) Tina Barrett (foto): cantante delle S Club 7, che dovrebbero essere una specie di Spice Girls se non erro.
5) Jacqueline Govaert (foto): cantante dei Krezip, gruppo punk olandese.
I miei bioritmi hanno dei gusti abbastanza confusi e mi vorrebbero fare uscire con una supereroe giapponese con la perversione per gli anagrammi vestita di rosa, di facili costumi e cantante contemporaneamente in una teen band e in un gruppo arrabbiato underground. Sono il grado di separazione tra Gianni Boncompagni e Woody Allen.

Oggi

Bene, io sono stufo. Vado su e metto un disco.

La canzone del giorno

It’s Not Really Cold When It Snows - The Russian Futurists