16.8.04

Cinque piccoli pezzi sui Junior Boys

Blog addict
Nessuno voleva i (demo dei) Junior Boys. Poi un loro amico ha postato dei pezzi su internet e così è arrivata la blogosfera e in particolare dalla metà dell’anno scorso Blissout, Yes/No Interlude, K-Punk e I Feel Love. Li ha notati anche Nick Kilroy della Warp, che nel frattempo stava lanciando la sua nuova creatura, la KIN. Uno dei thread infiniti di I Love Music ha seguito la pubblicazione degli EP e del disco, Last Exit, raccontando anche dell’inevitabile distribuzione di fake su Soulseek. In questo caso gli mp3 contenevano le vere canzoni del disco, ma dopo circa un minuto entravano in loop fino a raggiungere la fine. I pezzi veri sono comunque su Soulseek, ma la cosa divertente è che molta gente ha scaricato solo i fake e magari li ha pure apprezzati e addirittura una webzine nella recensione ha definito per questo motivo Teach Me How To Fight uno strumentale dalla bellezza austera. Uno dei migliori m-blog, Fluxblog, ha anticipato uno dei pezzi dell’album. Il sito del duo/trio (2+1) sottolinea nelle note di presentazione l’apporto della blogosfera (in un misto di blandizia, marketing e fighetteria?). Ah, e Jeremy, il cantante, ha aperto un blog per aggiornare su uscite e concerti: The Demolished Man. Il primo blogger a parlarne in Italia è stato Fidelio.

Webzine
Quelli dei blog possono parlare quanto vogliono, ma è merito nostro se Last Exit ha la stellina su Metacritic.

Namedrippin’
Timbaland, Blue Nile, Luomo, Prefab Sprout, Don De Lillo, Starbucks, Four Tet, Hats, Manitoba, David Sylvian, Greenspan, Fennesz, Visage, Blogspot, Todd Edwards, The Beach Boys, Canada, 2 Step, Japan, Notwist, Metrosexual, Nick Kilroy, New Order, Aphex Twin, Choose Life, Didemus, Calvino, Ties, Ninja Tune, Maurizio, The Basic Channel, Hall & Oates, Super8, Johnnydark, Neon, It’s My Life, Tarkowsky, Warp, Foxx, Miles, OMD, (a/A)fterhours, The Neptunes, Scritti Politti, Google, Summer, Afa, pp. 152-153, Broken Beats, Broken Hearts.

Finta stroncatura pippaiola
Ma davvero vuoi un disco che puoi ballare solo (<- aggettivo) in cameretta manco ci fosse ancora la generazione X? Ma davvero vuoi un disco che sposta le pippe mentali on electric sheeps dei Radiohead in ambito sentimentale postcomaetilico, rendendo tutto più semplice? (Oltretutto con la tua abbronzatura non sei credibile come ascoltatore di un gruppo di ragazzi pallidi che scrive per gente pallidaeossuta che di solito indossa camici e lavora in ambienti sterili). Ma davvero vuoi un disco che sposta le intuizioni elettropop dei Postal Service nell’ambito na(rra)tivo di chi certa musica se l’è vissuta sui neuroni, rendendo tutto più complicato? (Oltretutto non sei credibile come ex-raver, tu che in discoteca ci sei andato solo due volte durante le gite della scuola). Ma davvero vuoi un disco che hai pronta un’e-mail che recita (qui copio la frase di qualcuno ma non se ne avrà a male) “Ascoltati Last Exit, poi fatti una fotografia e spediscimela. La aggiungerò alla mia collezione di facce attonite”, ma non puoi spedirla a nessuno? Ma davvero vuoi un disco senza bassi fonk in evidenza?

Finto fotoblog
Prima di ascoltare i Junior Boys avevo questo taglio di capelli:



Dopo me li sono tagliati come Ascanio del Grande Fratello:




Me & Jeremy down by the schoolyard
Fuck all the things I’ve planned, I’m tied on being your man. Cassa/respiro (x4). More Than Real parla di uno che è parcheggiato in macchina e fotografa di nascosto una ragazza alla fermata d’autobus. Una tastiera dissimula un flash. Il cantato spezzato e asmatico, oltre a far pensare che il tizio è un maniaco, celebra il primo di dieci stati allucinatorii. Il voyeurismo come forma di auto-negazione per celebrare l’oggetto amato. Se vi sembra una cazzata (lo è), pensatela cantata da Thom Yorke. La programmazione è abbastanza quadrata, fino all’entrata in scena dei sintetizzatori della sezione finale.
These days are getting longer, the sun is gonna beat so loud. Che caspio vuol dire Bellona, quello che penso? Il testo è frammentario e confuso, credo di aver capito che il maniaco ha cambiato nome ma continua ad aspettarla. Nonostante la cassa quattro la ritmica è intricata alle più alte frequenze. Il pezzo più dance, anzi micro-dance, anzi microb-dance.
Baby! Le parla, oddio, le parla! E tutto si intrica: alle spalle di un finto lentaccio R&B in High Come Down le parti cospirano contro la forma alla maniera di un leccatoredifinestre Aphex Twin in ammore, interrompono e accelerano mentre il piano elettrico ovattato incurante di tutto è l’unico appiglio per un cantato che sfiora il falsetto (non è un vezzeggiativo).
When the lights go out, behind the bridge last exit. Se avessi sentito Last Exit prima, avrei potuto inserirla da qualche parte nel post torrenziale. Ma non ho fatto un viaggio notturno in macchina. Last Exit è insieme a Three Words quanto di più vicino alla perfezione notturna di Hats dei Blue Nile , quella perferzione da disco nel cruscotto pronto per i tuoi più bei momenti notturni. Il pezzo si dilata e asseconda respiri tranquilli rimarcandomi insieme alla suddetta Three Words, se fosse necessario, quanto in confronto sia stato freddo e fallimentare il simile tentativo dei Telefon Tel Aviv.
Silenzio. Neon Rider nelle sue rotondità mi ispira pensieri morbosi e ancheggianti. Protagonisti per la prima volta i bassi, sentiti da dietro una porta.
You’ve gone and you missed my birthday. L’idea di una canzone su un compleanno il giorno dopo (o quasi) essersi lasciati non è nuova. Interessante invece come le ritmiche delle canzoni della festa emergano dissonanti sulla rallentata malinconia del festeggiato.
Sweet one, sweet one, Under The Sun. Hai presente quella sensazione che si prova in spiaggia dopo due ore al sole senza andare in acqua? La domanda potrebbe essere perché non vai in acqua, la sua risposta potrebbe essere “perché mi piace quella sensazione di rincoglionimento”. Qui, nel costante e ossessivo campione vocale che sorregge l’aprirsi melodico e chitarristico inizialmente accennato e alla fine pienamente svolto, mi rendo conto della natura delle canzoni dei Junior Boys. Sono canzoni d’amore scritte da/per chi si risveglia la domenica alle 13e30 con la bocca impastata e le orecchie ancora vittime. Dal sesto minuto in poi si hanno visioni liquide.
I stay awake. Three Words è una canzone da letto. Per quanto possa ritrovarle nobili parentele, per quanto sia la meglio cantata, per quanto abbia deliziosi fiati filtrati nel ponte centrale mi ispira solo una cosa: corpi nudi, carezze e sospiri. Sarà forse per come pronuncia quelle tre non parole: I, You, Yeah.
Show me what it’s like to give back pain. Teach Me How To Fight è bella da far male. La più bella. Forse intendeva questo Jeremy in quel passo. No, bisogna fare i conti con le proprie vulnerabilità. La ritmica è marziale, volendo, ma per quanto la prima parte sia giocata quasi esclusivamente sull’elettronica, la melodia è tremendamente umana sia nella riflessività adagiata della strofa che nell’ascendere e discendere glorioso del ritornello. Quando la canzone sembra raggiungere la perfezione di un inno, i Junior Boys tirano fuori un colpo di scena, un arpeggio di quello che rimane di una chitarra, come un titolo di coda.
Think “Where is he?” when I’m not around. How do you relate to the night in front of you and the things we never said? What name is on your mind, when the morning comes alive? Come on, I’ll take you home, you’ve been away too long. Then we should stay at home. I think I’ll know you tonight.