17.9.03

La mia bisnonna gestiva un casello ferroviario (Non puoi parlare in camera e pretendere di essere preso sul serio, a meno che tu non ti chiami Mike Myers)

The Silver Mt. Zion Orchestra & Tra-La-La Band With Choir sono quelli che si allungano il nome a ogni disco, il sestetto di “scazzato rock da camera” fondato da alcuni dei Godspeed You! Black Emperor. I secondi sono quelli più politici e romantici, mentre l’Orchestra ha avuto sempre un approccio più mistico e spirituale verso le brutture del mondo. Il loro nuovo disco si chiama “This Is Our Punk Rock,” Thee Rusted Satellites Gather + Sing, e tutti i pezzi sono cantati. Punteggiatura, riferimento al punk, Efrim che canta: dove ho visto già questa cosa? Il packaging è spettacoloso come sono soliti in casa Constellation. A differenza dei precedenti due dischi, che non nomino perché hanno titoli lunghissimi anche loro, si passa dai pezzi di medio respiro alle classiche tracce oversize dei cugini GY!BE, quattro per la durata totale di circa un’ora, coi pregi e i difetti che ne conseguono e con la differenza che qui le esplosioni non sono un obbligo. Oltre alla voce di Efrim Menuck, simile a quella di un Pall Jenkins stonato e infreddolito, un coro riunito per l’occasione percorre il disco con durezza e scostanza monacale, anche se a tratti questi monaci sembrano ubriachi di aceto.
“This is our punk rock… è un disco che parla di nascita e distruzione di comunità. Sfugge la fredda graficità di Yanqui U.X.O. nonostante proceda per immagini e parole. Goodbye Desolate Railyard per esempio commemora la dismissione di una vecchia ferrovia, topos caro anche alla discografia Godspeed, e nel farlo violino e chitarra acustica mimano il cigolio ritmico delle ruote sui binari fino a quando il macchinista frena, le ruote sfrigolano di rosso e lui le innaffia di acqua perché il treno non riesce a fermarsi in tempo per la fine dei binari. Poi passa un treno per davvero, è sempre bello il treno e il disco si chiude con semplicità e con quello che mancava proprio a Yanqui U.X.O.: tutti si sentono un po’ persi a volte. Come il motore americano sul campo bruciacchiato del terzo pezzo, forse il più GY!Bboso degli episodi in cui il lento e iterante lamento iniziale si gonfia attraverso il basso e il crescendo di violino fino ad una fuga arpeggiata: niente di nuovo, ma quando la corsa finisce il passaggio dagli archi troppo pomposi alla chitarra su infinite note più basse toglie il fiato prima del coro finale. Questo recinto attorno al tuo giardino non imperdirà al ghiaccio di cadere. Prima Babylon Was Built On Fire / StarsNoStars comincia bene con le sue increspature di chitarra, ma la voce di Efrim è troppo piagnucolosa e rotta e quattordici minuti sono lunghi. È invece la prima traccia, Sow Some Lonesome Corner So Many Flowers Bloom, la più bella e interessante del disco. Inizia con un’insegnante di danza che conta i passi mentre la sua alunna non la segue in maniera corretta ed è costretta per questo a ripetere. Un giro elementare di chitarra introduce i monaci ubriachi che a un certo punto cantano i monosillabi fa, sol, la. Poi cumuli stratificati di effetti e chitarra portano verso il nono minuto e da lì non riesco a descrivervi quello che succede perché è fotosintesi clorofilliana al lavoro nella mia stanza da letto, pigmenti che decidono colori al buio, io che respiro anidride carbonica, il mio sonno che viene disturbato, io che mi giro e rigiro e sto correndo e poi salto e mi frammento in mille pezzi piccolissimi e poi bevo un bicchiere d’acqua quando mi sveglio per calmarmi.
All’altezza dei precedenti dischi dell’Orchestra anche se a tratti li supera (ma questo significa che in certi momenti è anche inferiore), “This is our punk rock… da un lato tenta nuove strade, dall’altro si avvicina alle strutture dei cugini pur mantenendo una maggior complessità tecnica e sonora. Superiore a Yanqui U.X.O., rimane un disco più che discreto con dei grandi sprazzi. Adesso però sono curioso di sentire cos’hanno combinato gli Esmerine, Beckie Foon e Bruce Cawdron ancora dai GY!BE e dall’Orchestra, in If Only A Sweet Surrender To The Nights To Come Be True.