Another One After 909
Un bel giorno un ragazzo scozzese, dottorando in filosofia in California, scarica alcune demo di programmi per fare le canzoni, come Pro Tools e Absynth. Si chiude in cameretta col suo Mac usato e (ri)suona la musica da ballare che gli piace, in maniera anche indianamente scrausa. Stampa in proprio i suoi sette pollici e, visto l’apprezzamento che ricevono, prepara l’album. E il giovane ragazzo scozzese, invece che affidarsi ad una major, fonda coi suoi amichetti la Breastfed per pubblicarselo. C’è qualcosa di vero in tutto questo (dei dettagli tecnici si discute qui, dove per esempio si scopre che da un iMac usato è passato ad un G4), ma si è ricamato un po’ sul buon indiano selvaggio dalle raffinate letture. Lui è Mylo e vuole distruggere il rock’n’roll.
La sua storia ricorda per certi versi quella dei Daft Punk e in un certo senso la ripercorre, quasi la ricalca, fin dal pezzo che dà il titolo al disco: dove i DP elencavano i loro maestri, Mylo scatena il sermone di un predicatore contro gli artisti che mandano sulla cattiva strada i giovani, da Rolling Stones, Pink Floyd e Patti Smith fino a Bananarama, The Alan Parsons Project e Cindy Looper. Nell’attuale singolo Drop The Pressure invece attinge alle bassezze di Discovery, condendo un elettrofunk per ballerini di breakdance con bassi da due note, vocoder e innocue piogge acidelle. Mylo però tende a recuperare tutto l’armamentario dell’ultimo quinquennio elettron-dance.
Massimale e privo di giustificazioni colte, occhiolini sottintesi e sottotesti esclamativi, Mylo è pura danceploitation. Lo capisci dal fatto che si tira fuori da tutti gli ultimi approcci di produzione (l’elettrotrash, il glitchneptunesimo e il punkfunkytarrismo) e punta su effetti, campionamenti da dieci secondi e pause a metà canzone fatte apposta per la luce stroboscopica e la gesticolata in trance.
Di lui hanno detto che ricorda i Royksopp, ma al confronto i Royksopp sembrano dei precisini con la puzza sotto il naso. Mylo mette senza ritegno i brillantini sotto gli zigomi dei Royksopp in In My Arms e gli fa partire sopra la tastiera di Bette Davis Eyes con una grazia cafona che Molella si sogna. In Guilty Of Love Mylo prende Kiss di Prince e gli sequenzia sopra di tutto, dal primo preset di violini ubriachi che gli capita sottomano alle tastierelle da divetta pop anni ottanta, dai flauti rave orbitali al beatboxing della pubblicità della Panda. Oppure inonda di glassa alla fragola, ciliegine e ombrellini pezzi stracciamutande con cui torturare i giovani snob che si indignano per la presenza dei loro artisti elettronici preferiti nelle selezioni caffésalate di sciccosissimi cocktail bar, da loro odiati e frequentati.
Destroy Rock’n’Roll vive di evasione, di alienazione, delle fughe che suggerisce. Valley Of The Dolls è come una vacanza low cost ad Ibiza (i suoi archi pizzicati e filtrati all’inizio) in cui si sognano le spiagge californiane (i coretti da figlideifiori anch’essi filtrati). Sunworshipper è l’inno delle spiagge finte in centro città. Need You Tonite è come mettersi un Harmony in cuffia e andarsene sottacqua. Avrete capito che a pezzi potrà sembrarvi camp, se non kitsch. L’insieme invece ha lo spirito che da sempre muove la grande dance e che da sempre ve l’ha fatta odiare. Destroy è il tasto ESC (Run/stop per i fedeli del Commodore 64) dei dischi usciti quest’anno. Ma se avete Homework o una bandana bianca in casa forse potete capirmi.