24.8.04

Is It All That I Came For? /1 - Vanilla Fudge

Si dice in giro dei canadesi The Hidden Cameras. Sul fronte etichette con cui velocemente dismetterli/pubblicizzarli sono state proposte quella di Polyphonic Spree Gay e quella di Gay Church Music. Joel Gibb, alla testa del gruppone, ha un'idea della musica che rischia di far sembrare timidi al confronto l'immagine delle Scissor Sisters, le invenzioni melodiche di Stephin Merritt e dei suoi Magnetic Fields e gli slanci orchestrali degli ultimi Lambchop.
Gibb ha un gusto ipertrofico ed estremo che in Mississauga Goddam (citazione da Billie Holiday) si sintetizza in una formula ricorrente. I testi parlano di omosessualità indugiando in particolari corporali che vanno dalla semplice vaselina alle cavità doloranti "cariche di ettolitri di sbxxxa" (per dirla alla Elio), dalla pioggia dorata al fanatismo del clistere. Quando questi aspetti non vengono resi con la forma del rito religioso, del sacramento in certi casi, Gibb sceglie la via del fumetto western americano. E qui si lega il lato musicale di The Hidden Cameras che si muove su due binari, quello della cerimonia raccolta e quello della cavalcata festosa. Nel primo caso sono prediletti pezzi lenti con la solennità tipica del pop profano che si avvicina al sacro. Nel secondo ci si abbandona ad andanti veloci ricoperti di ogni svolazzo strumentale possibile ed immaginabile. Tutto ricoperto di zucchero, molto zucchero, troppo zucchero.
Mi sono avvicinato al disco non senza diffidenza, immaginando che il tutto potesse risultarmi forzato e ciò si è rivelato in parte vero. Certo ritengo che per metà della lunghezza Gibb, pur nelle sue "estrosità", vada a segno, ma ho come la sensazione che per ogni buon episodio di Mississauga Goddam esista la sua controparte esagerata e mal riuscita. Per una brillantante The Fear Is One in cui sembra di vedere Gibb cavalcare un cow-boy baffuto e frustarlo sul culo, B-Boy affronta l'America e i suoi figli (un'ossessione per lui) in maniera così caricaturale che pare di sentire un pezzo del Nick Cave più western (che so, Tupelo), risuonato dagli Hormonauts, quelli che hanno rifatto Staying Alive à la surf-Morricone. Per una strappalacrime e perfetta Builds The Bone, inno sacro al cruising memore del Neil Young "balneare" e strutturato in forma di orgasmo, We Oh We risulta così dolciastra che non la inserirebbero nemmeno nella versione gay delle compilation Blondes In Love di San Valentino. Per un'anonima e melodicamente ripetitiva In The Union Of Wine, arriva in soccorso il calcolato crescendo dello sfondo di Music Is My Boyfriend.
Un disco che insomma non mi convince come insieme, ma dal quale ruberò qualche pezzo, a patto che i suoi vicini di playlist mitighino il livello di saccarina. Ah, e se ancora non vi ho convinto la canzone che dà il titolo al disco, Mississauga Goddam, ricorda la sigla italiana di Anna Dai Capelli Rossi.