2.9.03

Ritratti: Mario Giordano*

Mario Giordano ha una passione musicale segreta a cui tiene molto: il grind-core. Sotto-sotto-genere ascritto spesso al ceppo di massima dell’hardcore e del thrash venato di crust punk, il grindcore ebbe il suo apice durante gli anni Novanta, più o meno in coincidenza con la grande crisi del metal classico. A quei tempi il giovane Mario sgobbava sulla carta stampata lontano dalle sirene tentatrici del giornalismo televisivo e la miscela di sesso, carta vetrata vocale e terrificante casino strumentale proposta da gente come Terrorizer, Blood, Haemorrhage, Agathocles o Disrupt lo aveva finalmente allontanato dal finto furore (furore furore nanna nah nah) dei Pantera di Phil Anselmo e dal programma di Nikki su Radio Deejay, l’ex-Affexxion che si era definitivamente sputtanato con L’Ultimo Bicchiere, inno alcolico e millenarista scritto da Max Pezzali sotto sambuca, nostradamitica premonizione delle collaborazioni coatte Vasco Rossi / Irene Grandi, Jovanotti / Syria, Morgan / Paola&Chiara, Amedeo Minghi / Mariella Nava.

Io credo di aver parlato di grindcore soltanto due o tre volte, con Roberta. Ho sempre avuto l’abitudine di arrivare con un certo anticipo sull’inizio delle lezioni sia al liceo che all’università, nonostante non ci fosse particolarmente bisogno, ma fortunatamente c’era sempre qualche ragazza interessante che per cause logistiche arrivava in anticipo e con cui era piacevole chiacchierare. Come Chiara C. – e giuro che C. non sta per Caselli –, meteora del terzo anno di liceo che arrivava qualche minuto dopo di me, o perché l’accompagnavano a quell’ora o perché così trovava sicuramente il posto per il ciclomotore nel garage della scuola. Quella volta che individuavamo una retta perpendicolare alla strada verso certe tombe etrusche dovevo dirti una cosa, nonostante tu andassi matta per i finti ribelli (e in particolare ai tempi credo che ci fosse anche un finto ribelle, forse quello che sembrava Lorenzo Lamas in Renegade o, no, era l’ultras col capello rasato e il pizzetto), nonostante tu amassi i LITaliaFInisceaBAri (sì, allora erano usciti con U Terremotu e io invece ti avevo stupito con la mia conoscenza di Guerra e con la mia teoria che Piero Pelush non si ispirasse a Demetrio Stratos ma a un pastore sardo con l’alluce incarnito) e soprattutto nonostante quella mattina poco prima tu avessi accolto sul pullman l’inizio di Nothing Else Matters con un preferisco i veri Metallica, quelli non commerciali (vi ho mai detto che non sopporto il metal e i Metallica?), quella volta avrei dovuto dirti che eri la più bella compagna di classe che un cambio di sezione mi avesse mai potuto regalare alle 11e37 in una regione diversa dalla mia sulla strada verso certe tombe etrusche. Alla fine dell’anno la classe decise di riunirsi nella casa di campagna di V. invece di andare a vedere i risultati e tu e le altre ragazze eravate lì dalla sera prima per un pigiama party, si chiameranno ancora così? Il giorno dopo non eri insieme a noi perché dovevi traslocare, non perché poi avresti cambiato classe e scuola, ma di notte ti avevano ripreso con la telecamera mentre ballavi e discutevi con le altre e io avevo passato parte della giornata facendo finta di ritrarre le compagne presenti all’appello – no, niente zoom sconvenienti, giuro –, mentre invece guardavo te grazie ai miracoli delle funzioni aggiuntive della Sony Handycam numeriacaso. Poi l’ho rivista soltanto una volta, per caso, circa un anno e mezzo dopo, i capelli tagliati corti e un fidanzato modello impiegato del catasto così anziano che ora non riesco a definirlo ‘il suo ragazzo’ – è per quello, solo per quello –, in un cinema ma non vi dico a vedere cosa perché rischierebbe di sembrarvi un particolare inventato e dissiperebbe la coltre biografica di questo pezzo.

Roberta invece è stata collega meteora al biennio universitario, così come Giusy: era iscritta ad un corso diverso dal mio ma il primo anno avevamo tutte le materie in comune per via delle iniziali e così le mattine erano anticipate da lunghe chiacchierate che non tralasciavano notizie d’attualità quali la nascente psicosi della muCCaPPaZZa o la sostituzione delle batterie ossidate negli swatch biologici. Nonostante in quel periodo, ehm, amasse la musica classica, Roberta mi disse che quando qualche anno prima ascoltava Planet Rock andava pazza appunto per il grindcore, pare che ci fosse stato per qualche settimana anche uno spazio fisso presentato da nonricordochi da cui aveva registrato pure delle cassette. Roberta era ballerina di danza classica, mentre Giusy era ballerina di danza moderna – che poi me lo devono spiegare, perché chiamano la disciplina hip-hop o R&B e poi in sottofondo mettono musica di altro tipo –, fatto sta che al secondo anno entrambe cambiarono facoltà. Parlo anche di Giusy perché ho visto soltanto una volta un concerto che alla lontana poteva essere ricondotto al grindcore e quella volta invece c’era Giusy, che era lì insieme al suo ragazzo e ad un’amica: il cantante barriva come imponeva il suo ruolo, ma doveva bruciargli la gola perché alla fine di ogni canzone si scolava mezzo litro di acqua minerale e l’immagine che ne ricavavamo era una via di mezzo tra un documentario su un rinoceronte ferito e la pubblicità della Rocchetta con Rosanna Lambertucci. Le ultime volte che ho visto Giusy e Roberta sono state Giusy che ballava in uno show di una televisione locale e Roberta qualche giorno fa da Ricordimediastores commessa al piano terra (libri, singoli, italiana, colonne sonore).

I due paragrafi precedenti possono essere saltati se siete interessati a Mario Giordano ma non al grind-core.

Mario Giordano poi è cresciuto, ma non ha dimenticato la sua passione musicale anche se ha capito che il pubblico non deve essere oggetto di perversioni private, ma il privato deve essere soggetto di perversioni pubbliche. Da quando è diventato direttore di Studio Aperto la coltiva in segreto, imponendola ai rassegnati colleghi di redazione e novello Professor Guidobaldo Maria Riccardelli ha scelto i suoi nuovi collaboratori pescando dalla scena grind-core italiana. Prendiamo Patrizia Caregnato: il nuovo volto aggressivo di Studio Aperto è un nome storico e di culto, la cantante delle Una DiAvola Det.tagliaTa, la più importante all-girl-grind-core-band della costa orientale, gruppo ovulare di riot grrrls che giocava sul contrasto tra vocalità abrasive e impeccabili tailleur Upim ’84. Oppure Silvia Vada. L’inviata a Torino aveva segnato i primi anni Novanta con la sua interpretazione gotico-scat-elettronica del genere. Le morbose liriche del suo gruppo, i Synt2000 ErrOr, in seguito hanno influenzato anche il reverendo Marylin Manson (che proprio oggi l’ha indicata come una delle sue maestre qui sul suo blog) e l’uso sul palco di cassette dati del Commodore 64 suonate su normali registratori folgorò un allora giovane Alec Empire. All’arrivo delle prime smagliature però decise di abbandonare consensualmente i compagni di strada che peraltro mal sopportavano le sue truculenze verbali. Non potendo poi licenziare i vecchi assunti, Mario li ha iniziati a colpi di nastroni autoprodotti: la vittima preferita di Giordano, il suo vice Claudio Brachino, ha dovuto abiurare in pubblico la sua passione per la discografia di Alessandro Canino. Chess’addafa’peccampa’. Il gruppo storico della gestione Liguori invece è stato progressivamente isolato se non epurato per la refrattarietà al genere e infatti nessuno di loro ha mai intervistato Sconsolata o Manera o Cirilli o qualcuno di Zelig insomma o partecipato al complotto per la rivalutazione della finta testa di Valeria Marini.

Mario Giordano comunque, nonostante l’apparenza forse inganni, è ancora uno sgobbone come ai tempi delle sue prime apparizioni televisive quando vestito di verde impersonava il Grillo Parlante nella rappresentazione di Pinocchio in collaborazione con la Melevisione, malvisto da Tonio Cartonio e sostenuto da Gad Lerner, o come quando solcava le assi del Maurizio Costanzo Show e veniva scambiato da MCS per il fratello di Sonia Cassiani o di Carla Liotto, quella che voleva sposare un miliardario, sempre snocciolando bilance truccate, indici in calore e numeri soprattutto numeri, come quello scandaloso e gonfiato ad arte novantasessantanovanta. Certo non è più il brutto anatroccolo di una volta – il primo che dice che ora è diventato LuCignolo lo lincio – , ma nel tepore domestico appena variegato dall’aria condizionata del luogo di lavoro conserva ancora un briciolo della sua lontana passione giovanile nata fin dai tempi di Tele Ciociaria e delle veementi reprimende contro quella fetentona di Paola Barani.

* direttore di Studio Aperto.