3.12.03

Ma vedrai. Ci sarà. Cambierà. Rideremo anche noi. Io e te.

Avvertenza: il seguente post non è stato ispirato in nessun modo dalle modalità di sciopero del personale ATM

Io ho con alcuni dischi rapporti problematici. Non scomodate Mario Brega per farmi il verso e non attendetevi di seguito una stroncatura. Io evito certe cose e a volte non so nemmeno perché. Per esempio, i Baustelle. Nonostante molti di cui mi fido me ne avessero parlato bene non mi sono mai convinto e non ho mai fatto il grande passo. Baustelle mi suonava antipatico e prescindibile. Il ritardo d’ascolto insomma non era lo stesso per cui non avevo ascoltato i The Wrens. Poi ultimamente, quando si è ridotto il tempo per la lettura oltre che quello per la scrittura, mi sono trovato in una crisi da assenza di nuovi titoli e allora li ho scaricati con l'inconscio intento di stroncarli.
Invece, se dovessi scegliere, i Baustelle sono il disco che meglio rappresenta i miei primi tre mesi qui a Milano. No, niente pistolotto a seguire sulla città tentacolare e bifronte nei cui pub senti ancora Amore Disperato rifatta dai Super B e la canti di nascosto da quelli che sono usciti con te perché ti ricorda i tuoi sette anni e Azzurro dal Teatro Petruzzelli su Italia 1. La moda del lento infatti non somiglia per niente a Milano. Il disco però riassume la mia costante sensazione di essere fuori posto davanti a tutto e poi per un attimo ritrovarmi assorbito e galleggiante nell'acqua e sapone di macchine utensili che non rivedrò mai più e poi non so. L'ho ascoltato la prima volta e bah. L'ho ascoltato la seconda volta e boh.
Dal punto di vista musicale La moda del lento è un po' come quelle ragazze che non mi piacciono e che però hanno il taglio di capelli che preferisco, anzi nemmeno quello, hanno lo spazio sulle tempie tra le sopracciglia e i capelli che mi piace. La futilità del loro modernariato, dei Baustelle non delle ragazze, è tale che non mi sono chiesto nemmeno se siano più annisessanta o anniottanta. Quando conducono un'indagine su un seno al di sopra di ogni sospetto scappa anche quasi la risata e le loro goffaggini sono così volute che dico che non ci cascherò mai e così abbasso le mie difese e le canto in mente sulla metropolitana per non pensare dove guardare.
Facile poi sbertucciare testi che rimano stelle con Baustelle, menzionano esistenzialisti tristi e fumano troppe marche di sigarette diverse, anzi troppe sigarette tout court (e le lingue straniere, eh eh). Facile pure esaltarmi per le minigonne pallide, per il perdi l'autobus stavolta che diventa imperativo e per il ritorno della moda del lento, visto che io sono quello che durante i concerti finto-ska-punk invita a ballare proprio un lento. Però non trovo appigli per giustificare quando sul posto di lavoro carico il loro bauplayer e li ascolto dagli altoparlanti del portatile anche se possiamo ascoltare musica solo con la cuffia. Non basta sentire “io già nel 96 avevo fame di storie”. E ha ragione Rossano dei Perturbazione quando dice che sono la colonna sonora ideale per le pulizie domestiche (io purtroppo non fingo, però). E Arriva lo Ye-Ye è la mia canzone più stupida e più cantata ultimamente.

Questo film ridicolo
Quando finirà?