24.11.03

Looking FWD: la scuola del ruooooooooackkkkk

Nello spirito anticipatore di queste righe, minato dai recenti eventi a voi ben noti, mi sono recato nella grande mela (seeeee) e ho visionato in anteprima per voi solo voi sempre voi anche voi nient’altro che voi proprio voi il nuovo film di Richard Linklater School Of Rock. Non so se arriverà in Italia, visti i modesti risultati sui nostri schermi dei film in cui passa un po più di musica che la colonna sonora di Celine Dion, ma gli incassi americani fanno sperare. A tal proposito, ma poi 24 Hour Party People è uscito in Italia? E Party Monster, col ritorno di Macaulay Culkin e la celebrazione visiva dell’elettroclash, uscirà mai? Non che mi interessino le risposte e, statti zitto tu, non è vero che MI è venuta l’ossessione per la parola party.
School of Rock ha ritmo e fa ridere. Sui riferimenti alla Minnelli o alla fine della finta lezione di matematica o in dozzine di altre scene mi sono sbellicato. Certo Jack Black esagera come suo solito, sfiorando il Francesco Salvi dei tempi d’oro, ma dopo la prima mezz’ora ci si può anche abituare. Stupenda invece una legnosa e nerdy Joan Cusack, direttrice con la passione segreta per Stevie Nicks. I capelli appiccicati di Black, le infinite citazioni musicali anche della colonna sonora e una regia appropriata ne fanno un prodotto godibile.
Qualcuno però ha detto anche troppo godibile: Linklater novello Lina Wertmuller per Io speriamo che me la cavo? Il film ripete certi cliché tipici del film di formazione americano? Il rock è raccontato in maniera troppo mainstream? Forse, ma sulle scelte stilistiche, sulla sceneggiatura già vista e sulla pulizia del film si sorvola grazie ai pregi citati quassù. Dove sta l’inghippo allora? Il primo difetto è che la ricerca della purezza del rock oggetto delle lezioni del prof, ossessionato dall’immagine e dalla cool-ness che hanno rovinato la musica, spesso inciampa proprio nel rock come parodia di sé. Su questo però si può discutere, magari scomodando nature ambivalenti, oneste grandi truffe e l’importanza della posa.
Quello che invece non mi è piaciuto è che in School Of Rock non si ha l’impressione di vedere un maestro/padre trentenne che insegna ad un alunno/figlio, ma uno zio (nonno?) che si rivolge al nostro fratello minore. Il rock sembra essersi fermato, per ovvie ragioni di spendibilità col grande pubblico, ad un certo punto della sua storia e sebbene si noti una maglietta dei Ramones, si nomini Blondie, si veda la copertina di Odelay in una scena, il rock del film non è il mio rock e se non fosse per i Mac che usano i ragazzini sarebbe difficile pure stabilire l’anno in cui è ambientato. School Of Rock insomma è un po’ come la tavoletta da 125g al gusto dei Baci Perugina: senti il sapore che ti piace ma poi nella confezione manca il bigliettino con la frase in quattro lingue.