Bless this mess
Oggi torniamo indietro nel tempo per parlare di un doppio cd. In un lontano giorno di qualche anno fa un angelo del Signore apparve a tre ragazzi texani e rivelò loro che la fine del mondo era prossima e che dovevano guidare, con una pistola in una mano e una fender nell’altra, i figli di Israele verso la terra promessa, verso il centro di JerUSAlem, verso il Texas. Ora, so che non sembra il massimo come punto di partenza e che no, non sto parlando della band di Christian Rocca, anche se credo che gli piacerebbe. Abbiate fede ancora per un po’. I tre ragazzi si chiamarono Lift To Experience e i loro demo furono scoperti da Robin Guthrie e Simon Raymonde, che se non lo sapete erano i due Cocteau Twins che scrivevano le canzoni per la voce di Lisetta Fraser. Li misero sotto contratto per la loro casa discografica, la Bella Union, e mixarono il primo e finora loro unico disco, il doppio The Texas Jerusalem Crossroads.
Era un disco strano, di quelli capaci di arrivarti con due anni di ritardo e non certo per il caso, ma perché un disegno superiore aveva deciso che un giorno una mano gentile te lo avrebbe sollevato da una pila di dischi usati. Qualcuno se n’era liberato per me, perché io ve ne parlassi oggi o perché il tizio aveva bisogno di cinque euro. Le coincidenze non esistono e inconsciamente ho distillato ogni singolo momento prima dell’ascolto concentrandomi sul booklet, cosa che ultimamente mi capita sempre meno spesso. I titoli dei due cd componevano due frasi, Just as was told / Down came the angels / Falling from cloud 9 / With crippled wings / Waiting to hit / The ground so soft e These are the days / When we shall touch / Down with the prophets / To guard and to guide you / Into the storm. I due cd avevano due nomi, Texas e Jerusalem, due colori, rosso e blu, due stelle, Lone Star a cinque punte e stella di David a sei punte, due simboli, le pistole e una croce dentro una corona. Ladies and gentelemen we are playing with one guitar scrivevano sul retro, appena sotto la foto di uno stivale impolverato su una pedaliera. Ma di questo ne parleremo dopo.
Erano due cd molto diversi, che iniziavano in un modo e finivano in un altro. Il primo partiva con canzoni quasi prive di strutture, con strofe che si lasciavano credere strofe e (im)possibili ritornelli che non venivano ripetuti: la musica sviava ora accelerata dalla chitarra e dalla batteria, ora addolcita improvvisamente dalla voce del cantante. La sensazione di disorientamento era tale che sembrava di procedere a tastoni nel buio illuminato da improvvisi riflessi. Poi un barlume di ritornello, from Athens to London to Paris to Rome, mi convinceva che la strada forse ancora non era stata trovata, ma c’era ed era questione di tempo percorrerla. Era nel secondo cd dove l’inizio aveva la direzione di una corsa a testa bassa, la certezza della meta, il trasporto di un’ascensione regolare, mentre la fine oscillava tra la consapevolezza della salvezza e la gloria dell’inno che la celebrava.
Ladies and gentelemen we are playing with one guitar scrivevano sul retro, appena sotto la foto di uno stivale impolverato su una pedaliera. Basso, batteria e una sola chitarra, quasi nulle le sovraincisioni ma grande uso di effetti a pedale. Erano in tre ma suonavano epici e trovavano le sfumature e l’impatto di un palco affollato. E la voce del cantante stava in primo piano, come il suo volto abnormemente ingrandito sulla foto all’interno della custodia, ad assolvere la missione per cui era stato chiamato. Tell your mother you won’t be home for Christmas this year. La voce di Josh non poteva non essere così: quando abbandonava il parlato profetico prediligeva i toni ascendenti, come il giovane Bono perso nel deserto o come il giovane Buckley mentre intonava il suo inno sacro verso il cielo e persino, verso la fine, come un Robert Smith libero dalla disperazione.
Il cd Texas veniva introdotto dal ciclone chitarristico di Just As Was Told, coi tre ragazzi sballottati senza appigli, i capelli spettinati e l’incredulità davanti alla chiamata. La sua coda distorta svaniva dentro il rapito imbarazzo di Down Came The Angels, strimpellata nell’eco della notte dal frontman sdraiato nel cortile di un ranch, con le spalle poggiate sulla parete del fienile e la chitarra usata solo quando serviva. Falling From Cloud 9 era gloriosa nel suo alternare sfuriate di feedback e intermezzi melodici, fino alla loro fusione sempre sul punto di deragliare, con la profeticità sonica dei Godspeed senza multinazionali tra le scatole. Di seguito un primo barlume di forma classica si intravedeva in With Crippled Wings che, pure nella sua lunghezza diluita, aveva un tema coerente ad attraversarla. E arrivava poi il momento del patto, Lord I’ll make you a deal: I will if You give me a smash hit so I can build a city on the hill, Son, I will if you will: Waiting To Hit. Texas si chiudeva con The Ground So Soft rumoroso sciabordio multitraccia in cui era nascosto un passo dalla lettera ai Corinti.
Jerusalem. Sono nella terra promessa. These are the days racing toward us with blood on their teeth and lips e Josh schiocca un bacio in favore di camera. Gioioso furore danzereccio giocato sull’uso intrecciato di una ritmica balzellante a due velocità. When We Shall Touch invece viene definita bene dalla parola inglese building nella sua crescita massiccia, mattone per mattone, mentre il parlato filtrato e spostato su un canale ha il pregio di far risaltare il coro finale e il suo controcanto. Il centro di Jerusalem richiama inevitabilmente il Texas nell’uso tradizionale della chitarra, ma poi è momento di celebrare: con To Guard And To Guide You si è ormai In God’s Country. E poi la tempesta, Into The Storm, la chitarra che si trasforma in mille lingue di fuoco che conducono verso il gospel accompagnate dal battito di manine sante. We Shall Be Free. Con l’eccezione di una traccia fantasma che (forse) mette tutto in discussione.
Dopo diversi ascolti non riesco a vederlo soltanto come un disco di Christian Rock, eppure la forza delle note sembra strettamente legata al messaggio scatenante, peraltro così poco vicino all’immaginario religioso dominante di casa nostra. Per un attimo ho pure avuto l’impressione che fosse una presa in giro, ma la band è molto seria a riguardo. Certo i difetti ci sono e il formato doppio non può che amplificarli, ma i pregi li sovrastano senza dubbio. Insomma, se siete agnostici e se tutte queste parole non sono bastate, provate a sentire Waiting To Hit e Falling From Cloud 9 o Into The Storm. Abbiate fede, per una volta.