Lego fuso
Kieran Hebden invece è laureato in computer science. Scatta l’identificazione. In un mondo di banali seguaci del Mac, è fedele al pc. Col pc era più facile piratare i programmi e infatti usa ancora Cool Edit, AudioMulch e Cakewalk. Kieran Hebden suona nei Fridge, ma ha anche una carriera parallela da solo. Lo hanno chiamato i Radiohead per i remix del nuovo disco. Lo ha chiamato Beth Orton, Kieran sarà il suo nuovo produttore e forse il nuovo disco di Beth Orton sarà bellissimo. Kieran Hebden è Four Tet.
Rounds vive di circolarità, ma le sue canzoni non iniziano così come finiscono. Usa pochi elementi, ma non dite che è minimalista, c’è una sommessa grandezza bionica fatta di corde, acciaio e memoria nelle sue dieci tracce. Dici ciclico, ma poi sei sopraffatto dalle sue addizioni che sembrano non guardarsi in faccia, ognuna col suo tempo e con la sua storia diversa. Somma di frequenze fondamentali. Gli strumenti etnici vengono spogliati delle loro allusioni geografiche: koto, kalimba, gamelan e arpe presi chissadove, privati delle loro scale, non alludono a spiagge, Tropici e città proibite. Hebden non li vuole esotici, ma non elimina del tutto la loro pastoralità, proprio per opporla organicamente al rumore della metropoli. Le melodie sono la cosa meno importante in tutto questo: il disco vive di intrecci.
L’inizio spiega tutto più che le parole. Battiti aritmici su cui si impianta una sequenza jazz pseudocasuale su cui entrano dei piatti che prefigurano una corsa e invece ti arriva una battuta hip hop. Suona come un’orchestra che accorda gli strumenti. She Moves She ha un ritmo che non vuole ragioni e una melodia che rimpiange, i due sono nella stanza, ma lui le ha già voltato le spalle. My Angel Rocks Back And Forth si ripete su rumori spazzolati fino all’ingresso di epiche chitarre rovesciate. Spirit Fingers è traffico e frenesia a strati. Unspoken rimanda al DJ Shadow più ispirato, col suo piano che cita Winter di Tori Amos e il suo sassofono strozzato. Battiti di mani e funky, As Serious As Your Life. E poi il pezzo da cui non mi riesco a staccare: And They All Look Broken Hearted. Il koto è oscenamente sovraesposto rispetto alle batterie, ma io sono stregato da quelle asimmetrie. Altro che jazz, qui si va sull’imprinting, su me che a tre anni battevo il fustino rotondo vuoto del Dash, quello che ora non si vede più in giro, e il coperchio di una pentola con cucchiai o penne o bacchette staccate da qualche parte. Poi mi hanno regalato una batteria giocattolo e non era lo stesso e non sono diventato un batterista. Chiude Slow Jam, con ripetizioni in salita, e interferenze e paperelle di gomma.