9.5.03

La pazza storia delle vampire lesbiche

Soltanto un anno prima aveva spogliato una giovane Romina Power in Justine, ma non era per niente soddisfatto del risultato. “È stato come girare Bambi 2”, disse. Christopher Lee si era fatto cancellare dai titoli di testa del suo La Isla De La Muerte perché non si era reso conto in tempo del film in cui si era cacciato. L’anno dopo passò ai vampiri e soprattutto alle vampire. Quando ti chiami Jesus “Jess Franco” Manera e sei capace di girare tredici film in un anno, capita anche questo. Un fallimento economico lo costringe alla exploitation con mezzi limitati e lui che fa? Se ne esce con un anti-capolavoro che segna generazioni di registi e musicisti. In tanti si sono esercitati nella ricerca del segreto di Vampyros Lesbos, di un film che nel corso degli anni è diventato un feticcio nonostante i suoi difetti. Franco proponeva una visione anti-gotica del mito del vampiro, ispirata più al mondo psichedelico di fine anni Sessanta, che alle nebbiose notti dell’Europa Centrale. La sua vampira viveva in una villa con piscina davanti al Mediterraneo e si abbronzava di giorno indossando degli splendidi ed enormi occhiali da sole. Di notte non tormentava abitanti di piccoli villaggi, ma si esibiva in un night club al suono di musiche sapientemente giocate sul contrasto tra contemporaneo e misterioso. Certo la sessualità del film era filtrata da una visione maschile che nascondeva sotto traccia un misto di attrazione e repulsione, ma non era questo il punto. L’atmosfera allucinata da sogno ricorrente, i colori sgargianti, gli ossessivi scorpioni, le due protagoniste e soprattutto le splendide ed evocative musiche rendevano ininfluenti al confronto le convenzioni, i buchi nella storia e persino la povertà di mezzi con cui si era messo su il tutto.
Si diceva delle musiche. In una scena di Jackie Brown, Samuel L. Jackson guardava un film alla televisione, mentre riceveva una telefonata. Il televisore era inquadrato da dietro, ma non si potevano avere dubbi su cosa stesse trasmettendo quella sera Canale 5. Le note erano quelle inconfondibili della lasciva The Lions And The Cucumber. Manfred Hübler e Siegfried Schwab avevano lavorato in parallelo al regista, basandosi solo su pochi fotogrammi e indicazioni. Il risultato fu a dir poco eccezionale. Sembrerebbe un minestrone a dire il vero, un po’ come il film di Franco. Strumentali lussuriosi, voci tra l’orgasmo e l’urlo mortifero, suggestioni etniche e un solido e carnale impianto psichedelico lontano mille miglia da quello stellare o legato alle droghe dei gruppi rock, che comunque vengono citati come per esempio in There’s No Satisfaction, a metà tra il tributo e la presa in giro. In certi casi si lambisce l’assurdo come in Shindai Lovers, dove all’improvviso sbuca fuori un tango che è poco definire fuori contesto ma che strappa il sorriso. Una giustapposizione così stramba è stata salvata proprio da Hübler e Schwab che non solo hanno avuto la bravura nel gestire l’intreccio, ma anche la furbizia nello spargere una frenesia che abbassasse le difese dell’ascoltatore.
Curata fin negli interludi la colonna sonora è universalmente nota per i suoi pezzi più trascinanti, come quel The Lions And The Cucumber guidato da ruvidi tagli di chitarra e da vocalizzi animaleschi fino alle progressive esplosioni dei fiati e alla chiusura che mischia assoli di sitar, chitarra, pianoforte e flauto. Eppure altrettanto belli sono due pezzi che riprendono una malinconia di fondo che circola pure nel film, Necronomania e The Message, tra i pochi in cui non vengono impiegati i poderosi fiati dell’orchestra berlinese. In particolare The Message toglie il fiato: mentre la batteria scandisce un lento quasi da mattonella, l’organo suona una melodia tra il malinconico e il funereo, mentre un uomo emette vocalizzi, tra il godimento e l’ultimo addio. Poi su Extasy esplode l’organo. Se non l’avete mai sentito, non avete idea di quello che sia. Come dissi già un’altra volta, quando ascolto questo pezzo l’arredamento di casa mia subisce una metamorfosi.