19.5.03

It was red o’clock the morning after the night before e ti arrendevi al colpo di coda dell’Autoritas governativa

I dreamed that you bewitched me into bed
And sung me moon-struck, kissed me quite insane.
(I think I made you up inside my head.)


Arriva il momento in cui non è lecito sottrarsi alla realtà che ti circonda. Niente toni abbassati, è ora di colori accesi nella notte, anche se hai notevoli difficoltà a entrare nell’ottica di quelli che hanno capito tutto o forse in qualsiasi ottica. Anche se sei nato troppo tardi per capire gli istant movie del giovedì di Retequattro. Anche se ti chiedi perché, se siamo negli anni Cinquanta, non ci sia il boom economico intorno a te e ti viene voglia di bruciare le statistiche sull’occupazione dei neolaureati in Ingegneria. Sei nella notte di Qualcosa, con la maiuscola. Ti dici che è arrivato il momento, quello buono, quello in cui tirerai fuori quel consiglio ricevuto sabato 22 Marzo, ore 9.27. Non l’hai fatto prima, perché? Perché non ascolti consigli, chiaro, ma ora il mese, l’anno, il secolo lo impongono.
Il gruppo si chiama Meanwhile, Back In Communist Russia e My Elixir; My Poison è il tuo disco della notte di Qualcosa, per Maggio. Sei verticale, mentre ne scrivi, ma vorresti essere orizzontale, mentre l’ascolti. Avevi tredici anni quella notte e il giorno dopo ne parlarono a scuola. Sei tornato ancora più indietro. Dicono che Emily Gray sia una specie di Sylvia Plath, per via delle sue parole sparse sulle ragnatele di questo disco, parole a metà tra diario e note da un messaggio d’addio prima di un suicidio. Le tese ragnatele solo in apparenza si disinteressano delle sue parole. Flash (o flesh?) e il piano si ripete in Anatomies, sempre uguale e sempre più sgraziato. E sull’unico strumentale puoi recitare davvero Mad Girl’s Love Song.
No, non è la risposta femminile agli Arab Strap. Non è nemmeno Aidan Moffat che parla su Young Team dei Mogwai. Non sono nipotini di Nyman e cuginetti dei Prolapse e fratellini dei Sonic Youth e figliastri degli Swans, nemmeno vicini di casa degli Slint. Dicono che il loro primo disco, Indian Ink, fosse il gran disco di una band senza futuro. Dicono che la luce alla fine del tunnel è quella di un treno in corsa. Ma voi credete a quello che dicono? Io intanto vado a letto con una lanterna cinese perché ho paura del buio, nella notte di Qualcosa.