13.5.03

Fuochino!

In un’intervista durante il programma Born Sloppy di Channel 4 il cantante degli Electric Six, Dick Valentine, ha dichiarato che il suo sogno ricorrente è ambientato in un asilo, dove Dick è assistente del maestro insieme ad Axl Rose. Alla fine di ogni lezione Dick spiega ad Axl dove ha sbagliato. A parte che spero che nessuno mi dia del puffone quando dico che io odio i Guns’n’Roses e a parte che il possesso di un certo numero di libri di psicologia dovuti ad un fratello minore futuro operatore di cotale settore non autorizzi un’indiscriminata interpretazione del sogno altrui senza peraltro essere in possesso di un completo quadro clinico, a parte questo e altro, credo che Dick Valentine sia ossessionato da una certa idea infantile di rock e dal suo fallimento. Cacca pupù e poi cresci, insomma. Ma dico c’era bisogno di scrivere ‘ste cose per sostenere che sono un gruppo di tamarri miracolati che ti fanno divertire solo se assunti in dosi minime, tu, oh inguaribile snob che non sei altro?
Boh. Però la paura di fallire ce l’hanno davvero. Gli Electric Six prima si chiamavano Wildbunch ed erano in giro nella scena di Detroit da qualcosa come sei anni. Stavano per tornare a lavorare, per usare un termine tecnico: il cantante, quello che grida Fire in the taco bell, è un autista di autobus e notoriamente, se non siete una ragazza riccia, alta e prosperosa, gli autisti di autobus sono persone scontrose, tanto che le aziende municipalizzate ci proteggono da loro con quell’avviso sopra il lunotto. Si stavano sciogliendo. Poi, quando meno te l’aspetti come una botta (o era bomba?), sono stati inseriti nella compilation dei Two Many DJs con quello che rischiava di essere un successo postumo, Danger! (High Voltage), in cui pare abbia cantato Jack White Stripes. E allora perché sciogliersi? Soprattutto quando arriva un contratto per cinque dischi con la XL, che ti chiedi se riuscirai anche tu a scucire mai qualcosa di similmente ladrocinante prima dei cinquant’anni. E allora via con Fire, giusto il tempo di un cambio di nome che si spiega solo per motivi di diritti, come successe ai Dust/Chemical Brothers.
Un po’ di paura ce l’hanno però, dài, e lo si capisce pure dalla prima canzone, Dance Commander, quando in sottofondo al ritornello (I wanna make it last forever…) si sente il riff di Danger!. Chi si scotta, ha paura del fuoco. Viene attanagliato da una morsa strana, dal sottile dualismo tra ripetizione e modifica. Lo vedete Costanzo, col salto in alto ogni domenica e col Parioli che ormai non si capisce più se è una nave, un’aula occupata dai fratelli minori di Diaco o un’agenzia investigativa (no, oggi hanno mandato un telefilm…). Gli Electric Six, quasi uguale. Da una parte recuperano il vecchio materiale dei Wildbunch, dall’altra cercano di adattarlo allo spirito sarchiapone di Danger!. Vogliono un album da party, sono come dei metallari che non ascoltano più di nascosto la discomusic. Certo alcuni dicono che dal vivo non rendono come su disco e questo è un punto in meno per gente che ti sbatte in faccia la sua libido discotica. Ma se devo dirla tutta a me non convincono nemmeno su disco, a parte Danger e forse, massì anche, Gay Bar. Molti riempitivi, baracconismo spesso gratuito e soprattutto uniformità. Che possono divertire, per carità, ma a me vanno bene solo a piccole dosi.