7.4.03

That’s all, folks!

Negli ultimi tempi due dischi sembrano aver messo d’accordo tutto l’orbe terracqueo e criticone, quello dei due White Stripes e l’esordio solista di Evan Dando. Sul primo ho notevoli pregiudizi che ancora non mi hanno permesso di ascoltarlo. Sul secondo mi lambicco da un po’ di tempo, chiedendomi cosa non me lo fa amare alla follia come pare sia successo invece a molti. Ed è strano che gli riconosca tutti i suoi punti di forza, anche se non mi prende alle viscere, suo non nascosto proposito.
Non ho mai avuto un disco dei Lemonheads e per me Evan Dando è sempre stato quello della cover di Mrs Robinson. Dopo tanto silenzio poi, mi ero pure dimenticato che esistesse. Avevo rimosso anche le peripezie con Courtney Love. Poi qualche tempo fa ne ho risentito parlare quando Claire Danes ha suonato per lui la batteria nei concerti di New York. E poi un’altra notizia, nel nuovo disco in uscita, o nel singolo ora non ricordo, ci sarà pure Liv Tyler. In attesa di nuovi gossip ho iniziato ad ascoltare “Baby I’m bored” con tre propositi: 1) Non fare giochi di parole sul suo cognome nel titolo del post. 2) Non fare giochi di parole sul nome del disco nel titolo del post. 3) Elencare i due propositi precedenti per evidenziare la mia forza interiore, raggiunta dopo anni di meditazione a base di cannoli di Piana degli Albanesi e gelato al caffè.
Da sempre considerato uno che non ce l’aveva fatta per colpa sua, per colpa degli stravizi, Evan Dando invece ha esordito come uomo maturo. “Baby I’m Bored” ha tutto al posto suo. Tot pezzi alt-country come Waking Up e Rancho Santa Fe, via di mezzo tra Wilco e Calexico (che pure collaborano insieme ad Howe Gelb) con finale alla Sonic Youth. Tot pezzi piacioni pop rock con il fedele Tom Morgan come le Perniciosa-ai-limiti-del-plagio Repeat o le radiofoniche Stop My Head, It Looks Like You e The Same Thing. Tot pezzi intimo-folk come le belle Hard Drive e All My Life scritte in prima persona per la dolente maturità di Dando dal sottovalutato Ben Lee, che realizza così i sogni della sua adolescenza, quando cantava di come sarebbe stato essere il suo idolo. E poi i testi da perdente che alla fine vince e una durata non eccessiva grazie al limitato numero di riempitivi.
Cos’è allora che non me lo fa apprezzare in maniera piena? “Baby I’m Bored”, come detto, suona molto adulto. È un disco in cui si tirano le somme e si toccano temi da cui mi sento ancora distante. Sembra pensato per i thirty-(quasi forty)-something, non soltanto dal punto di vista del testo, quanto anche da quello delle scelte stilistiche. E con ciò non voglio dire che sia costruito per colpire quella fascia di pubblico, così remunerativa e così influente nel giudicarlo. Trovo però che per andare al di là del piacere per alcune delle singole tracce, sia necessario un processo di identificazione che il disco richiede in più punti e che in me non è riuscito a scattare. Almeno fino a questo pomeriggio.