28.4.03

A summer wasting

Tempo fa corrispondevo con una ragazza di Detroit. Beh, non era proprio Detroit, ma un sobborgo. Insomma, non fa poi molta differenza, anche perché presuppongo che Molly non mi legga. Detroit è una città che ha molta musica nel sangue, ma che non piace molto ai suoi abitanti. Per la questione irrisolta del fascino degli opposti, amano il sole della California e dell’Europa, ma prima o poi finiranno a New York, che è più vicina e offre più possibilità. Detroit è la Motown, il garage rock di Stooges ed MC5, la acid-house. Detroit è anche l’industria automobilistica che è in crisi perché si priva del supporto delle migliori giovani menti in circolazione.
Fred Thomas è nato a Detroit e anche lui deve essersi sentito prima o poi fuoriposto. I laghi non hanno onde, non sono profondi e il terriccio è soltanto una viscida copia della vera sabbia. Credo che si senta fuoriposto pure musicalmente e che ami molto giocare con contraddizioni e cliché. Io ci vado matto per queste cose, deve essere un innato desiderio nascosto di essere abbindolato. Fate una volta anche voi un esperimento: provate ad andare in un negozio di elettronica e a fingervi svagati clienti alle prime armi. Una delle cose più divertenti del mondo, i venditori. Io li valuto sulla base del numero di secondi che impiegano per pronunciare “ultimo tipo” o “ultimo modello”. Non avete idea di cosa vi proporranno come ultimo modello, un mirabolante oggetto in grado di fare persino il caffè e che stranamente non ha una tastiera, ma due comode tazzine infrangibili in moplen in omaggio. Un vero peccato essere lì solo per finta.
Torniamo a Fred Thomas che crede di vivere negli anni Sessanta, ma anche un po’ nei Settanta, negli Ottanta e nei Novanta. Si è circondato di un gruppo di persone numeroso, dodici o giù di lì, chiamato Saturday Looks Good To Me e ha scritto All Our Summer Songs. Canzoni dalla durata rigidamente radiofonica, che suonano come uscite anta anni fa da una stazione AM. Mura di suono stipate negli spazi angusti di un quattro tracce, con gli orchestrali che si riuniscono nel garage sotto casa. Un rimando continuo agli stereotipi dei favolofi anni feffanta, tutto molto costruito e senza vergogna. E qualche giochino con le manopoline. Okkei passiamo ad altro.
Il problema, se non l’avete capito, sono io che ancora non ho deciso se considerarla una schifezza o reputarmi definitivamente demente. Ne ho sempre più la certezza da quando non riesco a cambiare durante la pubblicità su Onyx di quel cofanetto sugli anni Sessanta coi Monkees e quella canzone che fa “No milk today, my love’s gone away”. Per esempio sono tormentato dall’inciso di fiati che si sente all’inizio del disco in Untitled e ricorre alla fine di No Good With Secrets e nella cavalcata power-pop di Alcohol. Vorrei un ballo di fine anno per The Sun Doesn’t Want To Shine. Meet Me By The Water sembra una canzone dei Turtles in mano a un dj giamaicano. C’è pure il lascia che ti aspetti per ore di Ultimate Stars, “If I don’t see you soon, I have to find another game to lose”. E due comode tazzine infrangibili in moplen in omaggio.