Tradito un’altra volta
Ho sempre amato Life, riedizione europea di Emmerdale dei Cardigans. Ogni cosa sembrava al suo posto in quel disco, dal raschio iniziale di Ninetta alla conclusiva cover dei Black Sabbath. Vestiti a fiori e persino un assolo di fagotto. Tutto quello che da loro è venuto dopo non mi ha mai colpito allo stesso modo. La voglia degli svedesi di confondersi col nostro tempo era comprensibile, ma io non ho mai perdonato a Nina il fatto che fosse nata come me negli anni settanta. Ad ogni loro spostamento verso un pop più attuale, mi sentivo più tradito di un fan di Bob Dylan ai tempi della svolta elettrica.
Long before daylight è stato anticipato da For what it's worth…, un singolo che mi ha fatto sperare. Suoni di nuovo sottili, chitarre acustiche e te ancora una volta, che ti fai raddrizzare la voce ma non mi interessa. Il disco però è un’altra cosa. Solo qui è là si sente quello che vorrei ed è un peccato che Nina abbia sprecato così le sue pene d’amore. Prendiamo Couldn’t care less: non l’avevo mai sentita così, in una canzone da cuore spezzato. La delusione amorosa è il fil rouge del disco, ma nemmeno la depressione riesce a prendere il sopravvento. La voce della Persson soccombe al rock contemporaneo che la circonda come in Lead me into the night, dove priva pure del suo caschetto biondo si tramuta in una inquietante copia di Sheryl Crow che canta la canzone della pubblicità della birra, Run Baby Run.
Ah, e non hai nemmeno ventisette anni come dici all’inizio del disco!