17.3.03

Mi ha condotto a sentire la sua banda

Avevo parlato già un’altra volta delle dannate canzoni calamita a cui non riesco a sfuggire. Questa qui è ancora peggio per la coreografia che si porta appresso. Scatta il temutissimo effetto rockstar, quello per cui non ti basta canticchiare ma ti alzi, prendi un microfono e improvvisi passi di danza in tema col testo.
L’inizio di Good On TV di Echoboy è strumentale, al massimo seguo la chitarra ritmica campionata con le mani e con la testa. Quando partono le parole canto con lo sguardo rivolto verso terra, fino al momento in cui arriva quel pezzo che dice “Don’t try tu put the blame on me”: chissà perché lì devo indicare il mio pubblico da sinistra a destra. Devo averlo visto fare già da qualche altra parte. Sulla batteria elettronica comincio a scuotermi, fino all’esplosione del ritornello. “No, it’s never gonna happen to me, ‘cause I don’t look good on tv.” Sono una air-guitar vivente. Certa gente dovrebbero arrestarla prima che sia troppo tardi, signora mia. Sul gorgoglio improvviso movimenti astratti. Durante “Be sure to keep your dreams alive” indico la ragazza rossa in prima fila e fisso i suoi occhi. Mi volto di spalle, mi chino, seguo il testo con la mano sinistra alzata e ritorno verso il pubblico solo per il ritornello. Poi cerco un tavolo, una mensola, il bracciolo di una poltrona per suonare il piano. Mi stacco solo per lanciarmi verso il finale.
E pensare che oggi farò tutto questo nell’albergo in cui si suicidò Cesare Pavese.