La montagna sacra
L’ultimo di The Microphones, ovvero Phil Elvrum, si intitola Mt. Eerie. Mount (E)Erie è la montagna vicino a Washington che ha fatto da cornice all’infanzia di Phil. Partendo dalle memorie distorte del passato, Elvrum scolpisce un concept album fatto di palpitanti rocce, sconnesse e brulle, e di ruscelli cristallini di rumore bianco. Scenario di giochi e presenza familiarmente oscura, la montagna non è mai se stessa: foresta tropicale, rifugio dei pianti, rampa di lancio verso il sole, sede di stellari rituali pagani, punto di fuga e insieme incubo da cui fuggire. Nascita, vita, morte e rivelazione.
Mount Eerie concede poco all’ascoltatore nelle sue cinque tracce, separate ma strettamente legate, e procede per immagini frammentate e poco coerenti, con un gusto dell’assurdo simile alla seconda stagione di Twin Peaks. Nonostante questo, perle di pop sommesso segnano il disco in tutta la sua lunghezza. Non so se questo sia un espediente per mantenere l’interesse di chi lo sente, ma è un elemento importante nell’economia di sfida che questi suoni lanciano. Suoni che sembrano descrivere e invece spiazzano proprio attraverso il loro presunto impressionismo ingannatore, come nel caso della simbolica mimesi iniziale. Elvrum richiama musica contemporanea e psichedelia (non) stellare alla Tim Buckley, il lo-fi americano e l’elettronica d’ambiente puramente analogica, dilemmi esistenziali e lavoro sulla forma. Necessita di molti ascolti. Dopo quegli ascolti sarà ancora difficile.