14.2.03

Twoism

“Twoism” è quello che una volta si sarebbe chiamato oggetto di culto. Era il 1995 quando veniva stampato in cento copie il primo EP dei Boards Of Canada. Questo disco è sempre stato visto come un miraggio dai fan del duo scozzese, al punto che molti ne mettevano in dubbio persino l’esistenza. Qualche tempo fa uno di quei cento vinili ha addirittura raggiunto su E-Bay una quotazione di 800 sterline. Recentemente la Warp ha deciso di ristampare su cd quell’esordio, che già allora manifestava i tratti distintivi della visione musicale dei BoC.
Arrivo a questo mini-cd dopo un’esperienza non troppo positiva: ho incontrato i BoC soltanto con l’ultimo “Geogaddi” e non sono stato subito conquistato. Pur riconoscendo i tratti positivi di un lavoro che in molti hanno considerato tra i migliori dieci dell’anno passato, c’è sempre stata una specie di freddezza tra me e quel disco. Per una serie di coincidenze lo ascoltavo in momenti sbagliati, con troppa luce e troppe distrazioni intorno. Capita. Ma in questo caso non era soltanto freddezza, non ero proprio a mio agio alla fine degli ascolti. Non ho avuto voglia di approfondire.
“Twoism” invece mi ha colpito subito. Apparentemente meno complesso e più votato al ritmo, è una sorta di scheletro del futuro della band. Non contiene ancora tutti gli elementi di “The Music Has Right To Children” e “Geogaddi”, ma è come uno di quei progetti di massima che non hanno tutti gli elementi per funzionare e però hanno la scintilla dell’idea. Poi è secco per via dei limiti di durata. Caratteristica importante per la sua comprensione visto che in tanti dicono che la grandezza dei Boards Of Canada non sia nelle singole parti, ma nella somma di esse.
Ma che musica fanno questi due? Se vi intendete di musica elettronica, il nome Warp vi può già dare un’idea di partenza. Andate oltre. Pensate a qualcuno che non vi dice mai la verità, anzi, pensate a qualcuno che riesce a dirvi nella stessa frase una cosa e il suo contrario. Niente principio del terzo escluso, niente verità. Ciò che è familiare viene percepito come inaffidabile, mentre l’incerto diventa rifugio. Abbassano le difese con le ripetizioni, ma a quel punto invece di inserire il loop melodico come farebbe un Moby qualunque, destabilizzano. Il contrario del chill-out. A metà tra i primi Orbital e l’Aphex Twin degli Ambient Works, i BoC vivono delle situazioni che creano. Non senza una vena di disturbante presa in giro, a giudicare dagli inserti subliminali che hanno seppellito soprattutto in “Geogaddi” tra le immagini d’infanzia, più per autoironia che per reale fede nel maligno.
Le singole tracce, come detto, vivono dell’insieme. Eppure hanno tutte un’identità ben precisa, rivelando anche possibilità poi abbandonate nei futuri lavori. La title-track è probabilmente uno dei migliori pezzi hip-hop degli anni 90, anche se nessuno vi rappa sopra. In “Smokes Quantity” sembra di sentire i My Bloody Valentine che non siamo riusciti ad avere alla fine dello scorso decennio. “Basefree” si scioglie similmente su un tappeto ritmico che sembra rubato al Richard D. James meno ambientale. “Sixtyniner”, il pezzo d’apertura, è attraversato da una malinconia soffusa e senza via d’uscita. Le tessiture di sintetizzatore non raggiungono ancora i vertici di complessità dell’ultimo lavoro, ma il sapore di bassa fedeltà non è assolutamente fuori posto.
Ieri notte, pentito, ho ripreso in mano “Geogaddi”. L’ultimo ascolto risaliva a diverso tempo fa, vista la posizione nella pila di cd. Ho sentito un nuovo disco.