28.2.03

Hard & Soft


I see again how Hitchcock always filmed his love scenes as murder scenes and his murder scenes as love scenes

“Master & Everyone” è un capolavoro di intreccio registico. Perfezione formale e narrativa corrono parallele e compenetrate. La canzone che chiude il disco è la vetta di questa ricerca stilistica e poetica non sulla solitudine o sull’amore fallito, quanto su un uomo difficile.

And it's a hard life
For a man with no wife
Babe, it's a hard life
God makes you live

But without it
Don't doubt it
You don't even have
Your tears to give


La canzone è gia iniziata. Parte subito dal ritornello, con una congiunzione, come se prima ci fosse già stato qualcosa. Usa un linguaggio che viene dal passato in cui la donna è moglie e Dio (chiamato in seguito anche col biblico “Lord”) è essere supremo che concede. Gli articoli indeterminativi sembrano allontanare la condizione da chi canta e proiettarla verso l’ascoltatore attraverso la seconda persona impersonale. La solitudine viene descritta attraverso un duetto: chi è quella donna?

I wake up and I'm fine
With my dreamings still on my mind
But it don't take long, you see
For the demons to come and visit me

And I've got my problems
Sometimes love don't solve them
And I end each day
In a song


Io. La prima persona segna una svolta. Chi canta è il protagonista e con un cambio di prospettiva sembra di avere un terzo personaggio rispetto al ritornello. Si sveglia e sta bene, ma soltanto grazie ad un sogno. Le luci sono quelle tenui del mattino. Nonostante i demoni, la musica lo accompagna lieve, ancora una volta con un effetto di straniamento rispetto a ciò di cui parla. Ha dei problemi, ma i problemi non sono l’amore o la donna. È ancora qualcosa di non detto che l’amore non riesce a risolvere. E termina ogni giorno in una canzone.

And it's a hard life
For a man with no wife
Lord, it's a hard life
God makes you live

But without it
Baby, don't doubt it
You don't even have
Your tears to give


Il ritornello si ripete, anche se l’invocazione al Signore trasforma la constatazione in lamento. La strofa precedente sembra chiarire un punto: la voce femminile non è extra-diegetica. Il protagonista canticchia il ritornello e lo fa insieme ad una donna. Una cantante? Una donna che vorrebbe averlo? Il vocativo ‘baby’ non aiuta.

I know I'm a hard man
To live with sometimes
Maybe it ain't in me
To make you a happy wife of mine

Maybe you'll kill me
Honey I don't blame you
If I was in your place
Maybe that's what I would do


Io. Io so che sono un uomo duro, difficile. Con cui è difficile vivere, per il verso successivo (sfumatura che si perde in italiano). Ancora una volta in prima persona arriva la chiave del disco. Non un disco sui soli o sui lasciati, ma sull’ossessione di sé che ci allontana dagli altri. La strofa finalmente sembra chiarire chi era la donna. Si rivolge direttamente a lei. Non riuscirebbe mai a sposarla. La ragazza probabilmente lo ucciderebbe se fosse sua moglie e non può darle torto perché anche lui farebbe la stessa cosa al suo posto.

But I ain't breathing, let me breathe
Let me go, let me leave
I don't know, but I might lose
I might bum, might blow a fuse

So let me go
Lay it down
On my own
Let me drown


Il colpo di scena. Ancora la prima persona, ma cambia tutto. Con un’avversativa la musica cambia, si fa inaspettatamente cupa. Manca l’aria a chi canta. Un fascio di luce però lo colpisce. Sente il bisogno di fuggire, respirare, vivere. I pestoni sul terreno si fanno più forti, non sottolineano solo il tempo. Su ‘I don’t know’ suonano pesantissimi. Mentre implora di poter andare, risuona l’eco di ‘own’, quasi come se l’unico luogo in cui poter affogare al sicuro fosse se stesso.

Let me go
Go where you don't know


Arriva il finale, epico. Il principe sembra allontanarsi di spalle, contro la luce rossa del sole. La chitarra lo saluta come un eroe, finalmente libero.