Cat Power - You Are Free
Chan Marshall non vorrebbe essere una gatta. Ha preso il suo nome dal cappellino di un camionista e, dovendo scegliere un animale, vorrebbe essere un gorilla. Chan Marshall non pubblicava nuove canzoni da quattro anni e nel nuovo disco questo si sente. Sulla copertina si legge “You Are Cat Power Free”, quasi a voler fuggire dalla possibilità di diventare cliché. Chan Marshall è una bella ragazza, ma questo non ha senso scriverlo perché tanto non mi legge.
Dico subito che “You Are Free”, pur essendo più che sufficiente, non funziona come disco. Cat Power ha cercato di essere più ricca dal punto compositivo, ma i suoi sforzi sembrano concentrati solo sulla prima metà dell’album. Da quel punto il disco scivola su una serie di episodi poco coinvolgenti che rendono a tratti faticoso l’ascolto. Non è tanto la monotonia del folk, quanto la sensazione che Chan si ripeta con minore convinzione e minore ricchezza espositiva. Ma poi, perché si deve arrivare ad una durata di 53 minuti, quando 35 erano già buoni?
La produzione di “You Are Free” è stata affidata ad Adam Kasper (Pearl Jam, Foo Fighters, Queens Of The Stone Age) e tra gli ospiti figurano Dave Grohl alla batteria ed Eddie Vedder alla voce in due episodi. La frattura tra le due metà del disco si riflette anche dal punto di vista sonoro. Dalla varietà di sfumature, non priva di una certa eleganza, della prima parte si passa ad un andamento piatto e meno misurato. Nei momenti migliori, però, Kasper illumina sapientemente la voce e la chitarra di Chan attraverso echi, controcanti e violoncelli che riescono a essere anche funzionali ai testi.
Parlando delle canzoni, una svetta tra tutte per la sua bellezza. “Good Woman” è un blues sudista che suona come uno standard, con i suoi amanti sconfitti cantati da una chitarra leggermente elettrificata e da un’armonica appena accennata e sorretti in maniera dolce dai cori e dagli archi. Il momento più strano invece è “Free”, dove Chan canta su una spiazzante drum machine, in una sorta di parodia di Miss Kittin. Altri buoni episodi sono “Speak for me”, che ricorda certe cose di Beth Orton, l’elettrica “He War” e la scarna “Maybe Not”, penalizzata dalla collocazione.
Poteva andare meglio insomma. Chan conosce il suo talento e ora prova a controllarlo. Il titolo, forse, non può che essere un obiettivo.