27.2.03

Appunti sparsi/1: il lato artistico

Durante un colloquio viene sempre il momento in cui si parla di interessi e hobbies (pronunciato alla Fantozzi). Dopo aver ricevuto la mia risposta, di solito, le specialiste delle risorse umane reagiscono in due modi: mi chiedono il mio preferito o mi chiedono come concretizzo le mie passioni.
Nel primo caso vogliono vedere quanto mi distacco dal gregge, cosa nascondo sotto la giacca e cravatta. È un terreno minato. Incroci le dita sperando che non ti chiedano nomi dei gruppi o dei dischi. Sai che per loro anche ascoltare i Nirvana farebbe di te un anarchico insurrezionalista pericoloso per le gerarchie aziendali. Se poi si parla di cinema e nomini per sbaglio tra i preferiti “La parola ai giurati”, ecco che scateni le fantasie dell’addetta alle human resources. Di cosa parla? Ti accorgi di avere nominato il titolo di un film in cui il protagonista è l’unico che la pensa diversamente dagli altri e cerca di far cambiare idea a tutti. In certi casi sembra di essere tornati al liceo, quando finivi a parlare con una ragazza che in casa aveva solo una cassetta di Mariah Carey, quella con “Hero”, e che teorizzava l’adattamento alla massa come presupposto ai rapporti interpersonali. Mi manca l’aria, spero quasi che non mi prendano.
Nel secondo caso vogliono vedere se sai bilanciare il tuo lato creativo con una sufficiente dose di pragmatismo. Sanno che sei un problem-solver ma vogliono vedere se sei anche un problem-creator. L’altro giorno la psicologa ha scelto questa strada e, sempre sorridente, ha posto la fatidica domanda. Io ho risposto: “Ho un blog”. Mio silenzio, voluto. Interminabile. Ho cercato in tutti i modi di frenare il dondolio della testa mentre pronunciavo quelle tre parole. La psicologa prima di parlare ha fatto un gesto per dimostrare di esserci ancora. Ha ritirato all’interno un estremo della bocca, in un misto di “Forse ho capito” e “Cazzo dov’è il pavimento?”. Mi ha chiesto cosa fosse l’oggetto in questione e ho cercato di spiegarglielo brevemente e con parole abbastanza altisonanti da non farglielo riconoscere se ci capitava per sbaglio. Inutile dire dove poi è andata a parare. Mi ha chiesto se avevo già trovato un modo di guadagnarci sopra qualcosa.