30.1.03

Cosa sono le nuvole

“Over the past few years, to the traditional sounds of an English summer - the droning of lawnmowers, the smack of leather on willow - has been added a new noise...”
Iniziano così , con il canto di un gallo, le “Adventures In The Ultraworld” degli Orb. Il mondo, vestito con una camicia di flanella a quadretti, celebrava l’uscita di ”Nevermind” nel frattempo e molti di noi scoprirono questa perla solo con qualche anno di ritardo. Ma cosa rende questa canzone così attraente, al punto di diventare manifesto, idea fissa, quasi ossessione?
“Little Fluffy Clouds” nasce da elementi che non hanno nessuna relazione tra loro: un’intervista di LeVar Burton a Rickie Lee Jones durante il programma Reading Rainbow, un’armonica campionata dalla colonna sonora di “C’era un volta nel west” di Morricone, un giro di chitarra di Pat Metheny da “Electric Counterpoint” di Steve Reich e i materiali sonori degli Orb a legare il tutto. Gli ingredienti perfetti per un minestrone di pessimo gusto, verrebbe da dire.
Non fu così. È difficile dire se ciò sia stato effettivamente merito degli Orb. O no, la colpa è proprio loro. Hanno scelto quella dannata intervista, quella voce che dice oltre ogni nota. Rickie Lee Jones prende fiato, esita in cerca di parole, sembra scazzata all’inizio, poi si lascia andare su quei colori, blue purple and yellow. Quasi sexy. Si scioglie lentamente su una domanda che all’inizio le era sembrata senza senso. È lei che guida, si sente ogni lettera sul suo palato, si sente perfino l’eco della sua saliva su yellow. Poi arriva la musica, si ripete. Non ti riesci a concentrare. Sta qui la genialità di questa canzone, nel cogliere quel passaggio tra il voluto sguardo verso il cielo e la seguente distrazione incosciente. In un certo senso tautologica, come la dichiarazione iniziale sul nuovo rumore.
Rickie Lee Jones rimase sconcertata dall’uso dell’intervista, tanto che all’inizio mosse i suoi avvocati contro gli Orb. Non era solo questione di diritti, era qualcosa che aveva più a vedere col rapporto con la propria voce. Un po’ come quando ascoltiamo la nostra voce registrata e diciamo che quelli non possiamo essere noi. Rickie si vedeva nuda, vedeva parole dette forse con noncuranza che assumevano una luce nuova grazie al suo principale strumento. In un’intervista, qualche anno dopo, disse che detestava questa canzone. Disse anche che da allora ascoltava diversamente ogni suo pezzo, anche quelli passati. “Maybe it shouldn't have taken a piece of dance music to wake me up to vocal texture, play and inflection, but it did, and ironically that gave me a way to love the songs I did already even more, just by listening to the how as much as the what.”

L’intervista a Rickie Lee Jones usata in LFC si può trovare sul doppio promo box set uscito ai tempi di "Flying Cowboys" nel 1989.